la Repubblica, 17 settembre 2016
Le nuove orribili maglie di calcio, un insulto alla tradizione
Quando l’Inter nel 1987 perse a San Siro col Turun Palloseura (gol di Mika Aaltonen, poi all’Inter stessa, passato al Bologna e proprio all’Hapoel Be’er Sheva per diventare infine economista di fama internazionale) Altobelli, Matteoli & C, uscirono sotto i fischi, ma dignitosamente composti nella loro comunque gloriosa divisa nerazzurra. Oggi ai machissimi Icardi e Medel tocca indossare un pigiamino color Sprite, che dal verde pisello sfuma in un celestino a righe, che si spera la Nike ritiri presto. Perché inguardabile, perché non ha nulla della tradizione interista, perché ha fatto arrabbiare anche più dei gol dell’Hapoel Be’er Sheva. E soprattutto perché il calcio è scaramantico come nessuno, e quindi nulla della notte del 15 settembre dovrà mai essere replicato: si cambieranno albergo, cravatte, posti a sedere sul pullman, nello spogliatoio e in tribuna, e ovviamente i tifosi sperano vadano al rogo pure le divise verdine, azzurrine etc.
Ma le speranze se le portano via gli stilisti e gli uffici commerciali. Le Coq Sportif ha spedito la Fiorentina in arancione a Salonicco. Smarrimento ma nessuna rivolta, forse perché uno 0-0 a Salonicco non è male. La Roma – sempre sponsor Nike – ha già annunciato che a Firenze sfoggerà la nuova terza maglia: arancione chiaro che sfuma in arancione più scuro a righine orizzontali. Insomma la Fanta al posto della Sprite.
Le maglie da calcio hanno perso la loro verginità da decenni: da quando il Vicenza ci ricamò sopra la R del Lanerossi (‘53), Teofilo Sanson mise il nome dei gelati sui pantaloncini dell’Udinese (‘78) e il Perugia si scrisse sopra pastificio Ponte (‘79) per ripagarsi il 50% dei 700 milioni del prestito di Paolo Rossi. Oggi sulle divise impazzite è arrivato pure lo sponsor posteriore: sotto il numero, praticamente sul sedere.
Ne stiamo vedendo di tutti i colori. Il calcio italiano non è stato il primo ma nemmeno l’ultimo. Altri sport e altri paesi hanno trasformato gli atleti in uomini sandwich, il portiere/attaccante messicano Jorge Campos negli anni 90 giocava con una divisa da pagliaccio, tanto che Blatter alla fine esplose: «Tu con questa roba non giochi». Oggi lo sponsor ha mandato a Rio i nostri azzurri in tuta nera con un gran 7 davanti. Il barese Vincenzo Cantatore (2001) si tatuò per primo addosso Radiotaxi 3570: prima o poi tingeranno un pugile di giallo e via. Il problema è che da ospiti con piccoli marchi ormai gli sponsor tecnici sono diventati padroni dell’intera divisa, ne decidono colori e forme, si sono presi la storia. Noi scriviamo che i nerazzurri hanno perso a San Siro e i viola hanno pareggiato a Salonicco, in realtà sono stati i verdini/celestini e gli arancioni. Ma l’Inter ha un accordo con la Nike da 200 milioni fino al 2024, e il Real Madrid ha addirittura fatto il record con 140 milioni l’anno dall’Adidas. Comandano loro. L’improponibile maglia dell’Inter comunque sarà venduta in qualche mall cinese o indonesiano, e in fin dei conti anche a San Siro o alla Bovisa un ragazzino farà sborsare al padre gli 86 euro che costa.
La migliore sul pigiamino fosforescente dell’Inter è questa: «Fatelo almeno per la maglia. Anzi, no».