Libero, 19 settembre 2016
«Perché io faccio ascolti e gli altri no». Intervista a Lilli Gruber
La notizia è questa: i talk non vanno più di moda. E nemmeno i programmi di approfondimento. La gente non li guarda più. O meglio, non li guardano in molti. A funzionare sono pochissimi e per lo più in casa Cairo: Giovanni Floris con il suo Di Martedì, e Otto e mezzo, l’approfondimento di Lilli Gruber, oltre un milione e mezzo di ascoltatori, in access prime time. Mica facile.
Signora Gruber, la crisi dei talk e dei programmi di approfondimento è conclamata. Ma il suo Otto e mezzo funziona ancora. Perché?
«Non è un classico talk, duriamo molto meno, andiamo in onda in un orario difficilissimo, quello dell’access prime time. Siamo un po’ fuori dalle mode, un classico direi».
Un classico che non stanca?
«Non ci siamo mai adeguati all’onda comune. Quando, ad esempio, andava molto fare una televisione, anche se di approfondimento, urlata, noi non abbiamo ceduto».
Ci sono altri programmi di approfondimento alla stessa ora, eppure non hanno la vostra forza...
«Assistiamo ad una crisi oggettiva di alcuni contenitori. E poi il pubblico ha un’offerta sempre più ampia ormai e si disperde».
Ma alcuni programmi continuano a funzionare.
«Sì, come Di Martedì di Floris, che fa il doppio di Semprini».
E perché secondo lei?
«Di martedì è un talk di grande successo, a partire dalla struttura e dal ritmo, visto che il programma dura parecchio».
Che cos’ha in più, dunque?
«Ha ragione Salini, il direttore della nostra rete: Giovanni Floris è un innovatore».
Eppure non è un volto nuovo. L’innovazione ce la aspettavamo più da Semprini, in effetti...
«Politics è appena partito. Floris ha avuto il tempo e il coraggio di sperimentare e capire che tipo di formula poteva interessare il suo pubblico e soprattutto, quali pubblici aveva, conoscerli e cercare di soddisfarli».
Quindi per lei i talk non sono morti: allora è la politica ad aver stufato o il modo in cui viene proposta in tv?
«Non è per forza la politica ad aver annoiato. La dimostrazione è che il nostro è un programma di attualità, soprattutto politica».
Allora ci dice il vostro trucco?
«Nessun trucco. Abbiamo sempre pensato che Otto e mezzo dovesse essere uno spazio di approfondimento rispetto all’attualità del giorno, ma uno spazio civile nel quale gli ospiti possono discutere, sempre con rispetto anche per chi sta a casa e attraverso di noi cerca, appunto, di entrare dentro gli argomenti e capire. E poi ho la fortuna di avere un’ottima squadra».
Lei, donna sola al comando, è l’unica a condurre un programma di approfondimento politico in prime time. Perché una così scarsa presenza femminile?
«Lo chiede a chi da sempre sponsorizza l’ascesa delle professionalità femminili, anche nei luoghi più maschili e maschilisti: sono stata la prima donna a condurre un telegiornale in prima serata. Non credo affatto che i talk debbano essere esclusivamente roba da uomini. Però penso che debbano essere affidati a delle professionalità valide e consolidate. Il sesso direi che non ci importa, o meglio: non dovrebbe importarci».
E se ne avesse l’opportunità: cosa le piacerebbe condurre?
«Sto bene dove sono. In futuro, chissà. Se dovessi inventarmi un nuovo programma mi piacerebbe tornare a occuparmi di esteri».
Floris ha Crozza (fino a dicembre). Porro, Chiambretti. Formigli ha la Guzzanti, Del Debbio, Gnocchi: andiamo dal talk politico a quello satirico?
«E io cosa faccio (esclama divertita, ndr)? Certo, c’è bisogno di ridere, ma poi penso anche che quando si ha un programma che dura più di due ore è chiaro che bisogna prevedere contenuti diversi: per reggere il ritmo e anche per intercettare un pubblico trasversale. Solo in Italia ci sono talk che durano così tanto».
Tra i colleghi, qual è il suo preferito?
«Non ho mai dato pagelle, però sono un’ammiratrice di Floris».
Cosa manca, secondo lei, a questi programmi che non attirano più?
«Dovremmo usare un po’ più di documentari, come fa Formigli. Lui cerca di raccontare anche un po’ di più il resto del mondo: mi sembra una direzione molto interessante e molto poco battuta».
Campo Dall’Orto ha detto alla presentazione dei palinsesti Rai che gli ascolti non sono così importanti. Cosa ne pensa?
«Se il servizio pubblico vuole essere competitivo con le altre reti è chiaro che deve stare sul mercato. Anche perché raccoglie pubblicità, oltre agli introiti del canone. La competizione è sempre maggiore: le reti ormai si sono moltiplicate con il digitale e abbiamo nuovi competitor fra le tv generaliste che si stanno lentamente formando, come il canale 9 di Discovery e l’8 di Sky. La Rai, in più, deve rispondere agli obblighi della missione di servizio pubblico, ma riuscendo a stare sul mercato».
E sul mercato si sta con gli ascolti.
«Sì, ce la fai a starci solo se fai buoni ascolti. Che sono certamente importanti».
E per farli bisogna per forza scendere a compromesso con un po’ di trash?
«Guardi, Otto e mezzo è riuscito a conservare una buona qualità, mantenendo buoni gli ascolti. Questo a dimostrazione che per fare audience non bisogna necessariamente abbassare la qualità».
Cosa pensa delle critiche mosse alla Rai in questo ultimo periodo, rispetto ad un atteggiamento censorio sulle ragioni del no al referendum costituzionale?
«Il tema sulla Rai è sempre lo stesso...».
Cioè?
«La Rai è libera dai partiti politici, ma penso non lo sia dagli appetiti dei partiti».
Quindi?
«Quindi la sua libertà se la deve conquistare tutti i giorni. È stato vero quando in Rai ci stavo io ed è vero anche oggi».
E di Cairo, invece, cosa ci dice?
«Che è un grande editore televisivo perché ci dà totale autonomia. E ci tengo a dirlo perché per il nostro mestiere è una condizione fondamentale».