Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 19 Lunedì calendario

Un po’ di numeri per capire meglio la questione del Monte Paschi e della Deutsche

Sarà un autunno ancora nel segno delle banche. I vertici degli istituti di tutta Europa dovranno dimostrare di riuscire a rompere quel circolo non virtuoso che rischia di soffocare l’infrastruttura finanziaria delle economie. Per quanto assuefatti alla perdita di valore delle banche in Borsa, alcuni numeri possono aiutarci a comprendere il fenomeno. Il 20 aprile del 2007, secondo una elaborazione del quotidiano francese «Les Echos» su dati Bloomberg, la valutazione complessiva per le 22 maggiori banche europee era pari a 1.282,3 miliardi di euro. Lo scorso 14 settembre il totale era sceso a 678,3. Con variazioni significative. La maggiore banca, Hsbc, è passata da quota 158,6 miliardi di euro a 132. L’Ubs si è più che dimezzata da 100,3 miliardi a 48,9 miliardi; le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo sono passate rispettivamente da 78 miliardi a 13,3, da 76,1 a 15,9. Il Monte dei Paschi addirittura da 14,9 a 0,7 miliardi. La francese Société Générale è scesa da 72 a 26, Deutsche Bank da 59,2 a 18, Commerzbank da 23,7 a 7,7. E questo prima della stangata americana su Deutsche Bank annunciata venerdì. I perché della crisi sono stati più volte delineati e per ogni istituto e Paese sono diversi. La stessa azione che l’America ha ingiunto ai tedeschi mostra che esiste un intreccio molto stringente tra solidità degli istituti e regole da rispettare. E che, soprattutto per le multinazionali del credito, quella è una delle problematiche più difficili da affrontare. Non è un caso che si sia portati a pensare che i temi della stabilità bancaria e del superamento delle crisi siano di competenza dei regolatori. Ma si sbaglia. Politica e strategie dei governi sono fondamentali. Pensare che le scelte che hanno portato la Federal Reserve ad «aiutare» il sistema bancario siano frutto della sola autorità regolatoria sarebbe miope. Il salvataggio di alcune grandi banche Usa è stato possibile solo grazie all’intervento diretto dell’amministrazione americana.
Come pure, su un altro versante, sarebbe altrettanto ingenuo considerare un caso il fatto che il credito tedesco poggi per l’80% circa su un sistema bancario sostanzialmente pubblico. È per questo che, guardando all’Italia, l’azione del governo sul Monte dei Paschi (del quale è socio diretto), al di là delle scelte nel merito, non pare indicare una direzione o una strategia utile per la banca, figurarsi per il sistema. Allo stesso modo la scelta di andare in risoluzione con le 4 banche nel novembre 2015 è parsa un’iniziativa singola non inserita in una strategia. Peraltro, arrivare a mettere l’asticella della vendita delle sofferenze attorno al 17% del loro valore ha indicato un pericoloso benchmark al ribasso. Eppure va riconosciuto a questo governo la capacità di scelte coraggiose e rinviate per decenni, come la trasformazione in spa delle banche popolari e la riforma degli istituti cooperativi. Ma se l’economia e la finanza sono fatte sicuramente di numeri e di scelte, le strategie che sottendono alle cifre devono apparire chiare soprattutto ai mercati, giudici ultimi, che lo si voglia o no, dell’azione economica. La chiusura di Piazza Affari venerdì (la peggiore in Europa, più di Francoforte sulla quale pesava la vicenda Deutsche Bank), la dice lunga su come ancora una volta quello che preoccupa di più i mercati sia l’incertezza. Come nel caso Monte Paschi. Essersi trovati di fronte alle dimissioni del presidente Massimo Tononi senza avere un sostituto ha aggravato una situazione di per sé già precaria dopo la scelta di lasciar andare l’amministratore delegato Fabrizio Viola. Ancora una volta viene in aiuto nella comprensione di quanto sia delicata questa fase, la vicenda di Deutsche bank. All’indomani dell’annuncio del contenzioso per 14 miliardi di dollari con la giustizia americana, si sono affacciate teorie su possibili ritorsioni da parte degli Stati Uniti dopo le scelte della Commissione europea sul caso Apple. Per chi è addentro alle questioni della giustizia e dell’amministrazione in qualsiasi Paese, è chiaro che i complotti spesso sono nella mente di chi li evoca. Tutt’altra cosa è un clima di generale diffidenza nei confronti dei colossi mondiali che troppo spesso sembrano muoversi con una logica da stato parallelo. Ecco perché in un mondo reso sospettoso dal vorticoso circolare di notizie più o meno infondate, da rumors e presunti complotti, la chiarezza del proprio agire e delle proprie strategie è l’unica ricetta che può garantire di resistere a periodi di grande e prolungata volatilità.