Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 19 Lunedì calendario

La lettera del sindaco Sala a Repubblica sui migranti e le colpe del governo

Caro direttore,
in tema di immigrazione è tempo di prendere atto che le condizioni intorno a noi sono profondamente mutate. Non definiamola più emergenza, oggi siamo nel pieno di una dolorosa, costante problematica da gestire. Centinaia di migliaia di persone fuggono la guerra, la fame e la persecuzione, etnica o religiosa che sia. L’Unione Europea dimostra tutta la fragilità della sua politica, che sta rapidamente diventando impotenza. Come è ormai evidente, il piano di ripartizione dell’Ue non funziona e solo una minima parte dei migranti che sbarcano in Italia viene ricollocata in Europa, come dovrebbe invece essere.
Inoltre il 2 ottobre si vota un referendum sul tema in Ungheria e il 4 ottobre si vota in Austria per le presidenziali: un’ulteriore stretta dei controlli alle frontiere e il rigetto di ogni forma di accoglienza sono dietro l’angolo in un numero crescente di Paesi. È quindi di tutta evidenza il clamoroso e doppio fallimento europeo: non riesce a controllare i flussi in partenza con accordi virtuosi di cooperazione allo sviluppo (tranne per la Turchia, che sta tanto a cuore alla cancelliera Merkel) e non riesce a gestire qui le persone che arrivano, in presenza ormai di una verificata assenza di volontà di collaborazione tra gli Stati membri.
Se l’Europa latita di fronte a questa immane tragedia, l’Italia sta faticosamente facendo la sua parte. Questo va detto chiaro e forte. Non abbiamo eretto muri. Non abbiamo ributtato queste genti nel mare. Abbiamo mostrato il volto migliore del nostro Continente. Come cittadino ritengo che l’accoglienza non sia una scelta, ma un dovere. Come sindaco di Milano sono convinto che la nostra città viva nell’accoglienza uno dei tratti distintivi della sua identità. Come uomo di sinistra penso che ogni singolo migrante vada richiamato ai suoi doveri, ma nel frattempo gli tendo la mano.
Proprio per questi motivi, sono consapevole del fatto che il nostro Paese deve passare dall’affrontare una (ormai) continua emergenza a una consapevole gestione del fenomeno. L’Italia deve uscire dall’idea di essere una piattaforma di prima accoglienza per più o meno brevi soggiorni. Molti dei rifugiati resteranno qui per il semplice motivo che non hanno un altro posto dove andare, se non per essere condannati alla morte. Questa situazione non ha soluzioni facili o definitive: da destra, abbiamo sentito molte parole, a volte inascoltabili, ma nessuno ha mai identificato una vera soluzione.
È certo, d’altra parte, che la questione non può riguardare solo i non molti Comuni che se ne occupano al limite delle proprie capacità, ma che il governo, soprattutto un governo di sinistra, deve prendere atto della situazione e provvedere a una nuova e efficace politica di integrazione. Non è facile, ma è da sinistra che deve arrivare la spinta ad affrontare la questione, attraverso una programmazione che coinvolga da subito le amministrazioni regionali, oggi estranee a questo sforzo in misura che a me pare del tutto incomprensibile. Milano sta facendo tutto il possibile. Negli ultimi tre anni abbiamo accolto oltre 100.000 profughi. In queste settimane siamo arrivati a superare le 3.500 presenze ogni notte. Questo grazie a un grande gioco di squadra, che incarna lo spirito solidale ambrosiano: il Comune, la Caritas, le associazioni, gli enti gestori, i singoli cittadini, tutti stanno facendo la loro parte. Continueremo così.
Ma è necessario che il governo operi perché tutto questo non continui a pesare come un macigno sempre più pesante sulle spalle della città. Abbiamo bisogno di una politica di integrazione seria, pianificata e dotata dei mezzi finanziari adeguati per far uscire da una condizione di provvisorietà le migliaia di profughi che stazionano nella nostra città come in altre parti del Paese (si vedano i fondi che i tedeschi investono – a casa loro! – per le politiche di integrazione....).
Serve un vero e proprio piano nazionale che stabilisca un’equa distribuzione sul territorio dei profughi, che, lo dico ancora una volta, non può che iniziare da quote regionali. Occorre poi ordinare il sistema: ogni notte Milano ospita centinaia di profughi “registrati” o addirittura “identificati” in altre città che si spostano nel Paese, uscendo dai centri dove dovrebbero permanere. In questi mesi a Milano sono presenti: richiedenti asilo inviati dal Viminale, nelle quote di distribuzione nazionale; transitanti non identificati; richiedenti asilo che dovrebbero rimanere in altre città; richiedenti asilo che diventano tali dopo che sono stati respinti alle frontiere europee: si può continuare così? E ancora, i tempi delle Commissioni Prefettizie. Inaccettabili: parecchi mesi per avere un appuntamento per avviare le pratiche riguardanti la richiesta d’asilo, che magari può poi essere respinta. Di nuovo, non è un problema di buona volontà, ma di risorse umane ed economiche necessarie.
Il governo deve valutare se dare vita ad un unico soggetto che si occupi di immigrazione e accoglienza mettendo insieme i diversi tasselli del mosaico: il sistema Sprar, il rapporto con i Comuni, la circolazione di buone pratiche, l’uso di caserme e così via. A supporto del lavoro del Ministero degli Interni. A mio giudizio sarebbe il caso di farlo.
Ma se queste sono le basi, bisogna poi costruire un nuovo e reale sistema di integrazione, dove i fatti devono prendere il posto delle parole. L’accoglienza non basta più quando i profughi stanno nei nostri centri mesi e mesi. Un tetto non basta più quando l’integrazione sbatte contro la mancanza di adeguate opportunità. Si tratta di proporre un nuovo patto a chi arriva: noi faremo tutto quello che serve a darvi una mano, voi mostratevi disponibili da subito ad aiutarci dove serve, mettendovi a disposizione di programmi per conoscere le nostre leggi e la nostra lingua. Senza la vostra buona volontà non potremo garantirvi granché.
Proprio da ciò che stiamo facendo a Milano possono nascere indicazioni significative. Noi milanesi abbiamo nel lavoro e nella comprensione reciproca l’essenza più profonda del nostro stare insieme. Per questo a fine settembre avvieremo una sperimentazione per inserire centinaia di richiedenti asilo nelle attività di cura del territorio e nella pulizia della città. Potenzieremo i corsi di italiano e le occasioni di crescita culturale e formativa, cercheremo di lanciare ponti verso chi dimostrerà di voler essere parte della nostra comunità. Questa progressiva, consapevole e responsabile integrazione ha bisogno di spazi adeguati, la cui scelta deve essere sostenuta dalle Istituzioni senza scatenare polemiche utili solo a creare facili e provvisori consensi. Ci vuole unità per inventare un nuovo futuro di una Milano (e di un Paese) realmente aperto al mondo. Per questo, ancora, nelle prossime settimane insedieremo a Milano un comitato straordinario permanente per affrontare l’accoglienza e l’integrazione. Chiameremo a raccolta esperti della materia e tutti coloro che possono dare un reale contributo a questa nuova realtà.
Oggi l’immigrazione non è un cerino da passare di mano in mano. È una questione gigantesca che chiede un radicale cambio di passo a livello nazionale per offrire accoglienza, integrazione, legalità, oltre l’emergenza e le paure. O daremo sostanza a questo cambio di passo o finiranno per prevalere egoismi e paure, che porteranno altri milioni di voti ai populisti di ogni genere. L’Europa si sta rivelando su questo fronte più un ostacolo che un sostegno. Dobbiamo agire subito e bene, per fare quello che la nostra coscienza di governanti ci chiede di fare.

L’autore è sindaco di Milano