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 2016  settembre 19 Lunedì calendario

Elogio di Manuel Agnelli, cattivo in una tv buonista

Sui suoi meriti pregressi, figura di spicco dell’alternative rock e fondatore degli Afterhours, non siamo in grado di esprimerci. Quanto ai suoi demeriti attuali, il più grave è che un uomo può pettinarsi così soltanto se va a un ballo in maschera vestito da Gioconda. Per il resto, Manuel Agnelli, giurato dell’attuale edizione di «X Factor», merita già un monumento in piazza.
Perché ha finalmente sdoganato in questo Paese che vive incollato a una tivù dalla quale tracima un mare di buonismo coatto, la virtù di cui c’è più urgente bisogno: la cattiveria.
Severo come il Dio dell’Antico Testamento, implacabile come il Grande Inquisitore, spietato come Fouquier-Tinville, gelido come Vyshinsky (qualcuno spieghi ad Alvaro Soler chi sono costoro), il lupo Agnelli demolisce i concorrenti che non gli piacciono, cioè quasi tutti, con poche, ponderate, incisive e sarcastiche parole, unendo ai pregi della schiettezza quelli della sintesi. Sui malcapitati in attesa di giudizio si abbatte la ghigliottina di sentenze senza appello. Robespierre, al confronto, era Nonna Papera.
Qualche esempio? «Sei antica». «Hai degli amici che ti hanno sentito fare questa cosa prima di venire qui?». «Forse questo non è il tuo lavoro»». «Sei stereotipata». «Mi hai fatto girare le beeep!». Fino al capolavoro supremo, la frase killer rivolta a due disgraziati nascosti dietro la maschera da Anonymus: «È il vostro conformismo da anticonformisti che proprio non sopporto». Parole da incidere sul marmo, visto che si potrebbero applicarle ai quattro quinti del teatrino italiano e ai suoi guitti, a cominciare dall’altro giudice Fedez che del conformismo dell’anticonformismo è la tatuata incarnazione.
Certo, nella sceneggiatura del talent canterino ognuno deve rappresentare il suo personaggio. Agnelli è il cattivo esattamente come Arisa è la svalvolata di buon cuore o, per restare alle edizioni precedenti, Morgan era il «maudit» de noantri e la Maionchi una Bertoldessa ruspante ma sveglia modello «a me non la si fa». Ma se la parte è questa, Agnelli la recita benissimo. «Sono antipatico e arrogante, ma ho anche dei difetti»: come non adorare qualcuno che twitta di sé questa descrizione? «X Factor», è chiaro, va visto solo per lui. E solo lui può far sì che allo show vengano forse perdonate le sue gravissime responsabilità, tipo aver lanciato Francesca Michielin o Lorenzo Fragola.
In questa melassa che ci avvolge, in questo politically correct che ci soffoca, fra l’ottimismo forzato dei politici e il wishful thinking obbligatorio di un Paese dove finisce tutto a tarallucci e vino, e pagati da qualcun altro, Agnelli ricorda che la promozione ha senso solo se esiste la bocciatura, che il fine è sempre lieto soltanto nelle fiction tivù, che se si fa un debito bisogna pagarlo e, come regola generale, che «non esistono pasti gratis» (copyright di Margareth Thatcher, una che avrebbe fatto il giudice a «X Factor» esattamente come lo fa lui).
Agnelli è l’auspicabile nemesi di un’Italia dove nessuno paga mai dazio. L’Italia dei prof che pretendono di insegnare dove non ci sono gli studenti, dei genitori che non fanno fare i compiti ai figli e se ne vantano pure, della sindaca di Roma che non dà conferenze stampa e poi si lamenta se i giornalisti le fanno delle domande e così via. Agnelli è così cattivo che andrebbe fatto santo subito. O almeno presidente del Consiglio.