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 2016  settembre 19 Lunedì calendario

Come la magistratura ha cambiato la storia d’Italia

Nella sua risposta a un lettore mi ha colpito una frase: «Questa è l’Italia uscita dai travagli di Tangentopoli e dalla stagione in cui qualche magistrato avrebbe voluto rovesciare il Paese come un calzino». Non ho capito se la stagione a cui lei si riferisce è proprio Tangentopoli, o se comprende anche vicende più recenti (ad esempio i rapporti fra Berlusconi e la giustizia, che hanno finito col portare a uno scontro fra poteri forse meno unidirezionale che nel caso di Tangentopoli); in ogni caso vorrei chiederle se può spiegare meglio che cosa intendeva.
Giacomo Battaglia
Milano

Caro Battaglia,
La frase fu la colorita battuta di un magistrato inquirente della Procura di Milano, ma era allora probabilmente condivisa da un settore importante della magistratura. Vi furono certamente procuratori che continuarono a fare il loro lavoro con distaccato equilibrio, ma ve ne furono altri che si credettero investiti di una missione nazionale. Le reazioni della pubblica opinione favorirono questa convinzione. Divenuti improvvisamente popolari, molti magistrati cedettero alla tentazione di coltivare i rapporti con la stampa e di promuovere la propria immagine nella società. Credo che il Consiglio superiore della magistratura avrebbe dovuto invitarli a un maggiore riserbo e fissare sin da allora alcune regole sulle numerose migrazioni dalle professioni giudiziarie alla rappresentanza politica. Ma lo spirito di corpo e la difesa della corporazione finirono per prevalere su ogni altra considerazione.
I risultati politici di questa «rivoluzione giudiziaria» sono stati disastrosi. Sono scomparsi tutti i partiti politici che erano stati l’ossatura della politica italiana dalla fine della Seconda guerra mondiale. Si sono aperti vuoti che vennero colmati dalle esternazioni di un imprevedibile presidente della Repubblica, dal partito-azienda di un magnate della televisione, da un partito che non credeva alla unità della Repubblica e da altre formazioni politiche, spesso improvvisate e impreparate. È cresciuta nella opinione pubblica internazionale l’impressione che l’Italia, già nota nel mondo per il fenomeno mafioso, fosse un Paese corrotto e inaffidabile.
Aggiungo, caro Battaglia, che Tangentopoli ha coinciso con una fase tumultuosa della politica internazionale: la fine dei regimi comunisti, la disintegrazione dell’Unione Sovietica, l’unificazione tedesca, la crisi della Jugoslavia, la firma del Trattato di Maastricht per la creazione della Unione economica e monetaria. È stata una fase in cui ogni Stato doveva riformulare la propria politica estera in funzione delle nuove forze che avrebbero dominato il mondo nei decenni successivi. Ma l’Italia non aveva il tempo per occuparsi di queste cose e dovette assistere a eventi su cui non poteva avere alcuna influenza.
Mi piacerebbe, caro Battaglia, che la magistratura fosse consapevole degli effetti che il suo ruolo produsse in quegli anni. Non sarebbe giusto imputarle tutte le responsabilità. Le cause di Tangentopoli furono numerose e molti magistrati fecero ciò che la professione esigeva dalla loro coscienza. Ma credo che una riflessione spregiudicata sul passato gioverebbe alla sua immagine e al futuro del Paese.