Corriere della Sera, 19 settembre 2016
Dahir Adan che esce di casa per comprare l’iPhone, entra nel centro commerciale per fare una strage
Dahir Adan ha salutato i suoi verso le 18.30 dicendo che avrebbe fatto un salto al centro commerciale di St. Cloud per comprarsi l’ultimo iPhone. Poi è uscito indossando la divisa da guardia privata, il lavoro part-time che svolgeva quando non era in classe al Community College della cittadina del Minnesota. È stato l’ultimo contatto con la famiglia. Poco dopo le 20.30 era steso a terra, senza vita, ucciso da un agente che ha fermato il suo attacco da «soldato del Califfato» all’interno della grande area commerciale. Il profilo di Adan in apparenza non è particolare, ricorda quello di altri protagonisti di agguati firmati dall’Isis. Giovani senza storia che si tramutano in terroristi entrando a far parte di un piano globale, più o meno ispirato dalla casa madre. Gli amici descrivono il ventiduenne come un tipo tranquillo, per la polizia non era schedato e le uniche annotazioni riguardano infrazioni stradali. Aveva una pagina Facebook con un’attività ridotta. Aveva scritto, scherzando, di venire da Fargo, Nord Dakota, e aveva postato foto della squadra di basket dei Lakers. Niente proclami politici, nessun segno premonitore.
Originario della Somalia, l’attentatore si era trasferito adolescente – e dunque in una fase critica – negli Stati Uniti, raggiungendo il Minnesota. Qui, a partire dalla metà degli anni Novanta, sono arrivati in base a un programma del governo americano quasi 30 mila somali. La maggior parte di loro si è inserita relativamente bene, i programmi di integrazione promossi dalla comunità e dagli stessi migranti hanno cercato di ridurre un fossato abissale. Inevitabilmente si sono aperte delle fessure che, con il tempo, sono diventate fratture profonde, subito sfruttate da reclutatori e cattivi maestri, seguaci dell’Islam radicale. Personaggi nascosti in qualche moschea, ma più facilmente in luoghi dove era più complicato tenerli sotto controllo.
Da Minneapolis e dintorni sono partiti decine di volontari unitisi al movimento qaedista degli Shebaab. Dei somali nati oppure cresciuti in America ma che ad un certo punto della loro esistenza hanno compiuto il viaggio a ritroso, tornando nella terra dei padri con il solo obiettivo di combattere. Diversi non solo hanno partecipato ad azioni di guerriglia, ma hanno condotto missioni da kamikaze contro il contingente internazionale. Dunque, insieme a Portland, Oregon, l’area del Minnesota ha assunto le caratteristiche di un bacino integralista nel segno di Al Qaeda.
Gli anziani della diaspora, il Comune, le autorità, la stessa Fbi hanno provato a contrastare il fenomeno – noi stessi abbiamo visitato alcuni centri che avevano questa missione —, ma sono riusciti solo in parte. Anche perché, come in molte realtà occidentali, è apparso il nuovo polo di attrazione. Irresistibile agli occhi di chi è rimasto ammaliato: l’Isis.
Lo Stato americano oggi rappresenta quello con il maggior numero di indagini su casi di reclutamento sponsorizzati dal Califfo. Sono almeno undici i file aperti finora dai federali ed altri che potrebbero seguire. Un riflesso dei cambiamenti repentini nell’arena islamista. Se in Somalia la maggioranza degli Shebaab resta fedele al movimento di Osama bin Laden, è emersa una componente favorevole alla linea del Califfo e guidata da Abdulkadir Mumin.
Mutamenti che hanno coinvolto chi è rimasto negli Stati Uniti. Anche perché è molto più agile e rapido passare all’azione a St. Cloud che imbarcarsi in un lungo e costoso percorso verso i santuari africani.
Adan ha probabilmente deciso di rispondere alle esortazioni che in questi mesi i dirigenti «neri», come l’ormai defunto Al Adnani, hanno lanciato dalla Siria e dall’Iraq. Ha imitato altri americani dalle radici tenui, come i due di Gardland (Texas), la coppia di San Bernardino e il suo collega, Omar Mateen, il vigilante autore del massacro di Orlando. Assassini che hanno animato per conto dello Stato Islamico il fronte interno. Non diversi dagli sgozzatori del parroco in Normandia, solo per citare uno dei precedenti.
L’esperienza insegna che di solito, magari solo per emulazione, gesti come quello nel mall possano essere ripetuti a distanza ravvicinata e non necessariamente perché esista un ordine preciso. E ciò che inquieta di più l’antiterrorismo e le associazioni somale è la particolarità del «teatro».
Il Minnesota è esposto al contagio, stare in guardia e l’esecrazione non bastano. Nascosti nell’anonimato ci possono essere altri Adan che escono di casa per acquistare un gadget, ma sono invece dei militanti pronti ad una missione che non prevede il ritorno.