Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 17 Sabato calendario

Ciampi nei ricordi di Ignazio Visco e di Romano Prodi

Ignazio Visco per Il Sole 24 Ore
Con la scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi, Presidente emerito della Repubblica italiana e Governatore onorario della Banca d’Italia, noi e il Paese tutto abbiamo perso una grande figura di riferimento. In questo momento di profonda tristezza, ricordiamo la fortuna e il privilegio di cui il Paese e la Banca hanno beneficiato con il suo pensiero, le sue azioni e il suo esempio.
In Banca d’Italia il cammino di Ciampi, iniziato nel 1946, è durato 47 anni, di cui quasi 14 da Governatore. Gli anni del suo governatorato sono stati caratterizzati da grandi sfide e grandi cambiamenti. Nella politica monetaria, la piena autonomia della Banca centrale venne realizzata, dopo il “divorzio” con il Tesoro nelle decisioni di acquisto di titoli del debito pubblico, con l’assegnazione della competenza esclusiva nella fissazione del tasso di sconto. Venne costruito un moderno sistema dei pagamenti, con piattaforme tecnologiche volte a servire, con grandi economie e trasparenza, gli scambi commerciali. All’inizio degli anni Ottanta furono affrontate e positivamente risolte le conseguenze del gravissimo dissesto del Banco Ambrosiano. Dopo la violenta crisi valutaria che determinò nell’estate del 1992 la perdita di oltre il 20 per cento del valore della nostra moneta e costituì uno dei momenti più difficili nel processo di costruzione europea, la sollecitazione di un impegno collettivo dei partner europei per accelerare l’unione monetaria vide Ciampi in prima fila, mosso dalla convinzione che l’incompiutezza nei processi di funzionamento del Sistema monetario europeo allora vigente costituisse un grave elemento di vulnerabilità.
I tratti distintivi della personalità di Ciampi, emersi compiutamente negli anni del suo incarico di Governatore della Banca d’Italia, sono quegli stessi che egli ha indicato come base dell’apprendimento e della conoscenza nel suo libro “A un giovane italiano”: senso del dovere, rispetto dell’alterità, consapevolezza delle responsabilità assunte, metodo, tempo, pazienza. La trasmissione di questi valori, maturati anche dall’insegnamento di Guido Calogero, per me come per molti altri è stata un suo fondamentale contributo. Partendo da questi valori Ciampi è stato in grado di dare prova, fin dai suoi primi anni nella banca centrale, di qualità indubbie e rare nella loro combinazione: concretezza, determinazione, sensibilità.
Di Ciampi mi piace oggi ricordare il metodo di lavoro, la passione civile, il senso delle istituzioni.
Nel suo modo di lavorare assumeva importanza cruciale l’organizzazione degli sforzi collettivi delle diverse aree dell’Istituto. Al rispetto delle competenze assegnate alle singole strutture organizzative e all’autonomia e responsabilità delle persone, egli decise di affiancare meccanismi di coordinamento e professionalità trasversali, utili e necessari per collegare le diverse e variegate funzioni della Banca. Riuscì così a coniugare i contributi forniti dalle diverse strutture, avvalendosi di non comuni doti di sintesi, in vista dell’unitarietà del risultato da perseguire. Utilizzò come pochi e con risultati notevoli lo strumento della discussione e il lavoro di squadra su tutti i temi sui quali avrebbe poi esercitato con pienezza, al momento delle decisioni, la propria responsabilità individuale.
L’importanza attribuita alla combinazione di competenze economiche, giuridiche e tecniche, la consapevolezza del ruolo centrale della tecnologia, ma in un contesto plasmato dalla sua profonda cultura umanistica, e l’attenzione al capitale umano furono quindi elementi essenziali del suo modo di governare l’Istituto. Il suo metodo di lavoro, in continuità con il modo di agire dei suoi predecessori ed eredità importante per i suoi successori, partiva dalla necessità di fondare su solide basi informative e di analisi tutte le valutazioni e le conseguenti decisioni. In questo, egli mostrava una straordinaria sensibilità per le persone, in particolare per i più giovani. Riteneva importante la formazione continua, la “professionalità”, da coltivare e arricchire, non fine a stessa ma indirizzata prevalentemente alla cura dell’interesse generale.
La passione civile di Ciampi, che emerge con tutta evidenza negli anni della guerra, della resistenza e, di nuovo, alla più alta potenza, nel ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, traspare nell’azione svolta con riferimento al disegno di unificazione europea. Era sua opinione che, nel cammino fatto per partecipare a pieno titolo agli sviluppi dell’Unione economica e monetaria l’Italia, tutte le volte che è stata posta davanti a scelte difficili, ha percorso la strada che porta in Europa, non quella, apparentemente più facile, che allontana. Nel chiudere le Considerazioni finali del maggio 1988, commentando i progressi compiuti nell’edificare in Europa una «Comunità autentica, solidale, polo di riferimento con gli Stati Uniti e il Giappone dell’economia mondiale», osservava come si fosse ormai iniziato «il pur arduo percorso verso il completamento dell’unione economica, che prepara e richiederà l’unione politica»: un’agenda «impegnativa», eppure «per la civiltà di cui siamo parte … l’unica via per non smarrire il filo spezzato in due guerre mondiali, riannodato da chi seppe intuire l’Europa comunitaria».
In un momento indubbiamente difficile per l’Unione europea, vale la pena ricordare queste motivazioni ideali, un pensiero espresso da Ciampi con una particolare attenzione, quando queste parole furono pronunciate: quella di non confondere le responsabilità della banca centrale da quelle proprie della politica, per non intaccare la dimensione “tecnica” del proprio argomentare anche quando si parla dell’integrazione monetaria europea come strumento che impedirà l’esplodere di una nuova guerra. Ma, in questo, va ancora una volta evidenziato che la moneta comune costituisce uno strumento, non un fine in sé, da coltivare, completare, non lasciare privo del necessario sostegno che deve venire all’introduzione di misure cruciali, in primo luogo sul fronte dell’integrazione politica.
Emerge dall’insegnamento di Ciampi, nell’intero suo percorso di tecnico e di uomo di Stato, una concezione profonda del valore morale intrinseco delle istituzioni, da servire con impegno e abnegazione, nella convinzione ferma che è nel perimetro di queste istituzioni che occorre ricondurre ogni momento decisionale di rispettiva competenza. Di qui il suo impegno a chiarire il senso dell’autonomia della banca centrale e rafforzare i momenti istituzionali nei quali essa dà conto del proprio operato. Ma assenza di condizionamenti e distinzione dalla politica non equivalgono a disinteresse, distanza dalla politica. Ed è singolare che uno strenuo difensore di questa autonomia dalla politica abbia finito, in un contesto irripetibile, per mettere a disposizione della politica, nel suo significato più alto, la propria esperienza, la propria professionalità e la propria saggezza. Anche questo è un tratto del modo in cui Ciampi ha inteso essere “al servizio” del Paese.
Indubbiamente, come molti hanno osservato, dobbiamo a Ciampi qualcosa che va oltre l’economia, pur essendo per essa essenziale: una fiducia alta nelle possibilità dell’Italia e della sua gente. Non possiamo non ricordare, al riguardo, quanto tenesse a richiamare un’espressione significativa di un altro suo predecessore, Donato Menichella: «sta in noi». È questa fiducia che lo ispirò ad accettare, non a cuor leggero, di servire il Paese al di fuori della Banca per contribuire al superamento della difficile situazione in cui versava la nostra economia nella primavera del 1993. Ed è stato da allora, il suo, un contributo determinante, nel quadro di un’esperienza di vita e professionale unica. Un’esperienza maturata in molti anni in quell’istituzione che ha sempre visto, con noi, come la “sua” casa; un’istituzione, la Banca d’Italia, che a sua volta deve molto a Carlo Azeglio Ciampi, che in essa per 47 anni ha così ben operato e che al suo prestigio ha così tanto contribuito, in Italia, in Europa, nel mondo.

***

Romano Prodi per Il Sole 24 Ore
Lavorare con Carlo Azeglio Ciampi è stato per me un vero privilegio, un’esperienza umana prima che professionale, di quelle che restano per la vita. Abbiamo lavorato assieme quando bisognava mettere insieme obiettivi chiari, cifre precise e tempi ferrei e prestabiliti di realizzazione. Continua Non era certo facile: si “impiegavano” ore e ore a lavorare sui fogliettini che portava con sé e che estraeva dalle tasche quando aveva bisogno di riscontrare una cifra o una percentuale. Erano numeri frutto di intensi confronti che Ciampi faceva al Tesoro con la sua squadra. Non c’è dubbio: era rimasto molto del metodo usato in Banca d’Italia.
Così preparavamo a Palazzo Chigi le riunioni dei Consigli dei ministri che, forti di una elaborazione così approfondita si trasformavano in una esposizione dettagliata e sempre molto autorevole e credibile. In sede tecnica c’era lo spazio per qualche dettaglio chiesto dai ministri competenti, ma l’impianto era inattaccabile e, diciamo la verità, il confronto in Consiglio dei ministri diventava un dialogo tra chi spiegava e chi chiedeva qualche approfondimento senza avventurarsi in un vero e proprio confronto tanto meno in uno scontro.
Mi ha sempre fatto sorridere la critica di chi attaccava Ciampi perché era un banchiere. A parte che esistono sempre banchieri e banchieri, ma soprattutto mi faceva sorridere perché Ciampi era tutto tranne che banchiere soprattutto nell’accezione negativa che a questo termine danno i detrattori.
Ciampi faceva sintesi politica con i suoi collaboratori potendo contare su un approfondimento tecnico notevole. In Consiglio dei ministri capitava anche di discutere molto a lungo per entrare nei particolari. E capitava anche che Ciampi tenesse alla sua sinistra i celebri bigliettini in cui segnava le cifre e che ogni tanto desse un’occhiata per rassicurarsi di aver detto il numero giusto.
Ha insegnato a tutti noi che per decidere bisogna conoscere, approfondire, meditare e poi anche discutere. Sono ancora tanti purtroppo ad avere bisogno di fare tesoro di quella lezione.