La Stampa, 17 settembre 2016
Anche l’antropologia divide Parisi e Salvini
A parte «buongiorno», la prima frase che pronuncia Stefano Parisi è un omaggio a Carlo Azeglio Ciampi. Anzi due: uno politico, ricordando quell’accordo sulla scala mobile «che salvò l’Italia dal tracollo», e l’altro personale, «perché è stato un personaggio importante nella mia vita professionale». E il solco già larghissimo con l’altra metà del centrodestra, quella leghista, diventa subito una voragine. Poche ore prima, da Pontida, a cadavere ancora caldo, Matteo Salvini aveva tacciato di «traditore» il Presidente emerito. E qui c’è già tutta la differenza, politica, di stile e perfino antropologica fra le due destre che giocano a distanza il loro derby, fra la «piattaforma nuova» di Parisi al MegaWatt di Milano e la Lega tutta di lotta e niente di governo di Salvini, trincerato nella casa madre di Pontida.
Tutta la giornata è così. Da Milano arrivano proposte per un centrodestra più di centro che di destra, da Pontida rimbalzano proteste molto di destra e per nulla di centro. Tattica, certo: Parisi e Salvini sono due galli nello stesso pollaio politico. Però quel che colpisce, in questo ex capannone industriale milanese (ma meno fighetto della Leopolda, popolar-periferico, perfino un po’ disagiato), è la platea, quanto di più sideralmente distante si possa immaginare dalla folla lepenizzata attesa domani sul prato verde Lega di Pontida.
Al MegaWatt non c’è una bandiera né uno striscione, per cominciare, perché non è un evento targato Forza Italia. E non c’è nemmeno un vero entusiasmo, perché non è un comizio ma una conferenza programmatica dove per tre ore e mezzo esperti vari ribadiscono le vecchie care ricette di un liberalismo di buonsenso. Alla lunga, noiosetto anzichenò, e infatti un paio di volte Parisi deve richiamare la platea al silenzio con stile da maestro deamicisiano severo ma giusto. È un pubblico di reduci. Si sa, in Italia siamo tutti ex qualcosa. Ma questi sembrano proprio degli azzurri prima maniera, moderati doc, piuttosto che gli attuali pasdaran italoforzuti alla Brunetta. Mai vista, negli ultimi convulsi anni italiani, una folla (folla, oddìo: diciamo duemila, massimo duemila e 500 persone, di certo non le 4 mila annunciate) meno «contro». Del resto, sul palco c’è un grande «PER»: «Dobbiamo uscire dal muro contro muro, dal clima che porta gli italiani a votare “contro”», dice Parisi. Il suo pubblico, è chiaro, il governo di scopo con Renzi lo farebbe subito.
Si nota con sollievo l’assenza delle abituali bombastiche ragazzotte dei comizi di Berlusconi, con interesse la forte componente cattolica, specie CL e dintorni, sia fra i soliti noti (Lupi, Formigoni, Mauro, Amicone, e Cesana fra i relatori) sia nei militi ignoti della platea: «Sembra il meeting di Rimini in miniatura», chiosa un Anonimo lombardo di area mentre dal palco suor Anna Monia Alfieri martella sulla libertà di educazione. Riemergono pezzi ex grossi della FI che fu, Sacconi, Micciché, Scajola, o addirittura del pentapartito, come l’ex sindaco Pillitteri: «Parisi? Per il centrodestra è l’ultima spiaggia».
E con la Lega che si fa? In assenza di risposte dal palco, ecco per quel che vale un sondaggio fai-da-te. Su dieci «parisiani», chiamiamoli così, cinque sono per decidere un programma e poi trattare con Salvini su quello, tre per mettersi d’accordo subito e due, gli estremisti della moderazione, per non mettersi d’accordo affatto e andare alle urne separati.
Altro grande assente, Berlusconi. Viene nominato per la prima volta a due ore abbondanti dall’inizio, e non da un relatore dal palco ma da uno spettatore in platea. Qui si aggira il senatore azzurro Francesco Giro tenendo in mano come una reliquia «L’Italia che ho in mente», indimenticato libro programmatico post-discesa in campo. Sulla copertina c’è un Silvio vintage (aveva ancora un po’ di capelli, e soprattutto erano suoi) ma è l’unica immaginetta del caro leader che abbiamo visto in tutta la giornata.Intanto continuano a rimbombare dalla Bergamasca le sparate di Salvini: «Tratti di strada con la gente che c’è oggi da Parisi, no», anzi basta perfino con il centrodestra, «una parola che mi fa venire l’orticaria». Gran finale: «Parisi si è messo sul marciapiede sbagliato». E chissà le invettive domani, davanti ai leghisti puri e duri, quelli con l’elmo con le corna in testa e le ruspe giocattolo in mano. Di certo, però, il centrodestra senza la Lega non può vincere (anche se forse con la Lega può perdere). Prima o poi, da un marciapiede all’altro, bisognerà pure ricominciare a parlarsi.