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 2016  settembre 17 Sabato calendario

Ciampi è morto ieri, in età di 95 anni (96 il 9 dicembre), ma era ormai da parecchio che era diventato impossibile intervistarlo, per via di quei mali alla testa che tante volte fanno compagnia alla vecchiaia

Ciampi è morto ieri, in età di 95 anni (96 il 9 dicembre), ma era ormai da parecchio che era diventato impossibile intervistarlo, per via di quei mali alla testa che tante volte fanno compagnia alla vecchiaia. Il Paese è in lutto, le istituzioni sono in lutto, oggi leggeremo pagine e pagine di biografia, Carlo Azeglio è considerato un padre della patria anche se ha operato in un tempo in cui la patria, con tutti i suoi guai, era viva e vegeta da un pezzo.

Diciamo, di questa biografia, i punti salienti.
Fra le personalità pubbliche del Paese - presenti e passate - è quella col curriculum più straordinario: governatore della Banca d’Italia, presidente del Consiglio, presidente della Repubblica. Di tutti i pezzi grossi in circolazione potrebbe batterlo, se la storia prendesse una certa direzione, solo Mario Draghi, che è stato governatore della Banca d’Italia e ora guida la Banca Europea, ma in futuro potrebbe benissimo entrare a Palazzo Chigi e poi, magari, al Quirinale. Ciampi diventò governatore della Banca d’Italia nel 1979: una sciagurata iniziativa del giudice Alibrandi - che mise addirittura in carcere il vicedirettore di Bankitalia Mario Sarcinelli - costrinse il governatore Paolo Baffi alle dimissioni, e Ciampi, che era entrato in Banca d’Italia dopo la guerra vincendo un concorso e aveva poi fatto tutta la carriera, prese il suo posto. Il buffo è che non era laureato in Economia, ma in Lettere classiche (Filologia) e Giurisprudenza (tesi sui diritti delle minoranze).  

Un passaggio biografico che esalta il valore del Liceo classico, oggi tanto disprezzato.
Ciampi spiegò quella scelta così: «Andare avanti da professore precario in un liceo era dura e i concorsi per la scuola non arrivavano». Non era molto diverso da oggi.  

Fu un bravo governatore?
Allora si era governatori a vita, e Ciampi va ricordato per un paio di successi e per un paio di infortuni. Scoppiato lo scandalo del Banco Ambrosiano (1981-1982) Ciampi accompagnò con mano sapiente la messa in liquidazione e la rinascita di quell’istituto, affidata a Giovanni Bazoli. Rese anche possibile la messa sotto accusa della Banca vaticana. Il secondo successo (1981) è la conquistata libertà della Banca d’Italia, sottratta al controllo del Tesoro e resa indipendente, mossa che oggi molti antieuropeisti criticano. Gli infortuni sono i crolli della lira del 1985 e del 1992, ancora oggi argomento di discussione tra gli esperti.  

Come diventò presidente del Consiglio?
Nel 1993, per via della crisi politica complessiva provocata dall’inchiesta Mani Pulite e che mise per la prima volta sull’altare i cosiddetti tecnici. Lui la raccontò cosi: «Quell’ottobre del ’93 avevo presentato da alcuni mesi le dimissioni, perché pensavo che quattordici anni da governatore fossero già troppi. Una mattina ricevetti, prima di andare in banca, una telefonata dal presidente della Repubblica, da poco eletto, Oscar Luigi Scalfaro, che mi disse: “Caro governatore, debbo vederla. Alle undici una macchina del Quirinale con il Prefetto Iannelli verrà a prelevarla per portarla a casa mia” – dove non ero mai stato. Andai in ufficio. La mattina alle undici dissi ai miei collaboratori: “Vi debbo lasciare, ho un impegno, ci vediamo nel pomeriggio”. Non mi hanno più visto».  

Meriti e demeriti?
È stato il presidente del Consiglio forse più convinto della necessità di far uscire lo Stato dalle imprese, cioè di procedere con la vendita del patrimonio pubblico. Molti, naturalmente, pensano che questa sia una colpa. Ma è interessante la testimonianza di Francesco Giavazzi, che allora era nello staff di Mario Draghi, direttore generale del Tesoro: «C’era un calendarione che il premier Carlo Azeglio Ciampi sfogliava con noi almeno una volta al mese. Ci teneva moltissimo: per ciascuna società da privatizzare erano segnati con precisione tutti i passi da fare e i relativi tempi. Con lui verificavamo il lavoro fatto. Guai a sgarrare...». Parole che ci fanno intravedere un uomo dal carattere non facile, anche se all’apparenza pieno di bonomia. Disse una volta Cossiga: «Nessuno lo sa, ma dietro la sua apparente affabilità è un uomo dal pessimo carattere, un uomo di totale freddezza, scostante anche nei confronti del personale e dei suoi collaboratori più vicini». Da capo del governo Ciampi inaugurò la politica della concertazione, cioè quell’accordo generale ancora rimpianto da Cgil, Cisl e Uil grazie al quale i sindacati partecipavano all’agenda politica del governo, accettando in cambio che gli aumenti salariali non superassero mai l’«inflazione programmata» (altra invenzione del Nostro). Grazie a questo, rispettammo almeno due dei tre parametri di Maasatricht e ci agganciammo all’euro. Un bene? Un male? Lo dirà la storia. Come presidente della Repubblica fu tra i più interventisti, mosso forse dal problema di doversela vedere con Berlusconi. Aggiungiamo, in chiusura, il tifo forsennato per il Livorno, città dove era nato nel 1920, la passione per gli elicotteri e per lo scopone scientifico, e questa frase, straordinariamente attuale: «Manca la missione. Questo è il vero problema dell’Italia di oggi. Non si vede un grande obiettivo, generale e condiviso, che il Paese possa comprendere e che dia un senso a tutto ciò che si sta facendo».