la Repubblica, 16 settembre 2016
Le ragioni di Manuel Agnelli, il cattivo di X Factor
«Lo scorso anno mi avevano proposto di fare il giudice a un talent e ho rifiutato. Ora accetterei»: Manuel Agnelli degli Afterhours l’aveva annunciato a Repubblica a maggio in un’intervista sul nuovo album, Folfiri e folfox. Un’opera bellissima e molto complessa, dolorosa (parla di morte e malattia) e di lungo formato (doppio cd) arrivato al primo posto in classifica e finalista al Premio Tenco.
Poi è successo davvero: da ieri sera il leader della band “alternativa” più importante della scena italiana è un giudice di X Factor. Un giudice, tra l’altro, cattivissimo. «Non è vero: non insulto mai. Mmm, tranne forse in un paio di casi... Ma lo faccio solo con quelli che arrivano con un atteggiamento arrogante, che si credono dio in terra e poi non sanno nemmeno perché cantano». A un ragazzo con il taglio da marine a cui Fedez ha chiesto se era un militare ha detto: «È un peccato che tu non lo sia perché con il coraggio che hai a cantare saresti una garanzia per la difesa della patria». «Con alcuni mi viene così. Non solo con i concorrenti: l’altra sera avevo invitato un po’ di gente della produzione a cena e uno che stava con una tipa che aveva meno della metà dei suoi anni mi fa “non veniamo, lei si annoia”. Non sono riuscito a trattenermi e gli ho detto: “Vabbé, può sempre giocare con mia figlia”». Anche lei però è stato molto criticato: l’underground da cui proviene non ha approvato la scelta di andare a un talent… «No, non è così. Le persone più intelligenti hanno capito lo spirito che c’è dietro. Altri no. Ma la cosiddetta scena “indie” o buona parte di essa dal mio punto di vista oggi fa schifo, è autoreferenziale e, soprattutto, prigioniera di una dimensione puramente estetizzante che non ha niente a che vedere con la cultura indipendente, quella in cui noi e altre band ci siamo forgiati». Nessun pentimento quindi? «Tutt’altro: qui mi diverto molto».
Dal mainstream di nuovo all’underground, Agnelli domenica sera sarà con i suoi Afterhours sul palco del Forte Prenestino di Roma, uno dei centri sociali-simbolo, insieme al Leoncavallo di Milano. Quest’ultimo citato in una vecchia canzone dal titolo piuttosto esplicativo: Sui giovani d’oggi ci scatarro su. Diceva: “Come pararsi il culo/ e la coscienza è un vero sballo/ sabato in barca a vela/ lunedì al leonkavallo”. «Sì, me la rinfacciano spesso in questi giorni quella frase. A parte che a X Factor partecipo io, non gli Afterhours, il fatto che faccia il giudice lì è l’unico motivo per cui oggi leggete queste righe. La tv può finalmente consentirmi di parlare sui grandi media di cose a cui tengo molto». Cambiare la televisione non sarà facile. «Non mi illudo e non sono così presuntuoso da pensare di poter cambiare neppure un singolo format. Io vado solo a riempire uno spazio che si è aperto con i miei contenuti. Non credo nella rivoluzione, ma penso che ogni piccolo mattoncino che si può aggiungere per cambiare sia non solo utile ma doveroso metterlo. E la tv, se usata bene, può dare grandi risultati». Quali sono le cose di cui non si riesce mai a parlare? «Per esempio del fatto che c’è da tempo una situazione molto difficile per i centri sociali o comunque per una serie di luoghi storici dismessi e poi occupati da persone che li hanno trasformati in posti dove si fanno musica, cinema, teatro, performance: teatri occupati e associazioni culturali che cercano di portare la cultura nei quartieri come l’Angelo Mai a Roma, il Coppola di Catania, il Rossi di Pisa o Macao a Milano». C’era un pezzo degli Afterhours intitolato Televisione che diceva:”Sei solo il mio eco, non sei qui/ o io sono cieco, non vedi?/ come un assassino/prima o poi/ ci si abitua a tutto, anche a quel che sei”. Profetico? Ride: «La televisione può essere molte cose e ancora adesso nonostante internet e i social rimane il mezzo di comunicazione più potente. Non è il mezzo il problema, ma i contenuti con cui lo si riempie. In passato, negli anni 80 soprattutto, la tv-spazzatura era trionfante. Adesso la moltiplicazione dei canali offre grandi possibilità. È un mezzo che ci escludeva e che non bisogna avere timore di usare. Tra l’altro un alto dirigente Sky mi ha detto una cosa che mi ha fatto molto ridere...». Ovvero? «Mi ha preso da parte e mi fa “Manuel, non ti offendere, ma tu sei nato per fare televisione”. Ecco in quel “non ti offendere” c’è un mondo». Che, forse, sta cambiando.