la Repubblica, 16 settembre 2016
Santoro, Alemanno e la deposizione di Cantone al processo di Mafia Capitale
Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), depone nel processo “Mafia Capitale” e per un giorno il tema della irredimibilità della città, dell’immanenza del suo “Mondo di Mezzo”, della sua eterna Suburra, torna a stringersi intorno al nodo da cui non solo dipendono i destini degli imputati, ma, a ben vedere, anche la promessa a oggi disattesa di una rivoluzione Cinque Stelle, sin qui prigioniera di quello stesso Sistema che ha promesso di voler combattere. Un nodo riassumibile in una domanda: a Roma, chi è il colpevole? Chi cede alla forza del ricatto di una burocrazia e una Politica rapaci? O, al contrario, chi è in grado dispiegare la forza della corruzione e dell’intimidazione mafiosa? Per stare al processo: chi sono davvero i mafiosi? Salvatore Buzzi e Massimo Carminati o chi ha consentito che il Sistema di cui hanno beneficiato restasse impunito per lustri? A maggior ragione – come accaduto ieri – quando si scopre che il verminaio di Mafia Capitale poteva essere scoperchiato tre anni prima, nell’autunno 2011, se soltanto la allora “Autorità di vigilanza dei contratti pubblici” (progenitrice dell’Anac), in quel momento guidata da Sergio Santoro, giudice amministrativo ed ex capo di gabinetto di Gianni Alemanno, non avesse deciso, con singolare benevolenza e inerzia, di soprassedere su quanto aveva scoperto.
In aula, Cantone si muove in un complicato esercizio di diplomazia. «Credo che il marcio di questa città stia soprattutto nella burocrazia – dice – Se poi sia a valle o a monte non saprei dirlo in termini di percentuale. E credo che sarà il tribunale a stabilire se in questa vicenda siamo di fronte a dei concussi o a dei corruttori». E ancora: «Non spetta all’Anac formulare ipotesi di reato. Questo lo fanno i pm. Noi ci limitiamo a segnalare irregolarità o criticità quando c’è un ‘fumus’ di illecito penale. A oggi posso dire che casi di associazione di stampo mafioso, non ci sono mai capitati». Una diplomazia che tuttavia salta quando, sollecitato dalle domande dell’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Buzzi, e da quelle di Cataldo Intrieri, difensore di Carlo Guaranì (braccio destro di Buzzi), Cantone dà conto di quanto da lui scoperto alla fine del 2014 e documentato da una lettera, sin qui inedita, inviata alla Procura della Repubblica per «valutare possibili omissioni compiute nel corso del 2010, 2011 da dipendenti dell’Autorità di Vigilanza dei contratti pubblici».
«Una vicenda inquietante», chiosa Cantone. Che ha il suo incipit del tutto casuale nel settembre 2010, quando il Dipartimento per le politiche sociali del Comune, allora governato dalla Giunta Alemanno, chiede un parere proprio all’Autorità di vigilanza su un appalto per l’accoglienza di immigrati. «Ebbene – spiega il Presidente di Anac – si scoprì partendo proprio da quel singolo affidamento che non c’era un solo appalto affidato dal Comune alle cooperative sociali che non violasse le procedure in materia di contratti pubblici. E in quell’elenco di cooperative beneficiate da affidamenti diretti o “in proroga”, c’era anche la “29 Giugno” di Buzzi». Un quadro di sistematica illegittimità di fatto identico a quello che svelerà tre anni più tardi l’inchiesta penale. Ma nulla accade. Nell’autunno del 2011, l’istruttoria è completa. «Il Consiglio dell’Autorità – spiega Cantone – ritenne inopportuno procedere a contestazioni nei confronti del Comune per quelle che definì “oggettive difficoltà finanziarie che non avrebbero consentito il rispetto della legge”. E comunque stabilì di rinviare una decisione definitiva a valle di una ricognizione delle prassi di altri comuni italiani per verificare se le procedure in deroga negli appalti con le cooperative sociali non fossero prassi diffusa. Peccato che non ci fu nessuna ricognizione o ispezione e quella relazione non venne trasmessa a nessuno: né alla magistratura penale, né a quella contabile. Rimase in un cassetto». Il Presidente dell’Autorità era Sergio Santoro, capo di gabinetto di Gianni Alemanno nei suoi primi cinque mesi da sindaco. Una coincidenza, forse. Se non fosse che, cinque anni più tardi, c’è un’altra creatura della dirigenza cresciuta con Alemanno, Raffaele Marra, a tenere sotto scacco la Giunta. Allora, l’Autorità di Santoro non volle vedere il Sistema. Oggi, Marra minaccia di “parlare” se qualcuno lo scaricherà. L’Anac, intanto, indaga sugli appalti di Ama dal 2011.