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 2016  settembre 16 Venerdì calendario

Come eravamo nel 2001, l’ultimo anno con la lira

C’era ancora la lira, Matteo Renzi era un giovanotto di 26 anni che muoveva i primi passi in politica e Palazzo Chigi era appena stato conquistato da Silvio Berlusconi, che governava fianco a fianco con Gianfranco Fini. C’erano più matrimoni e più bambini, Elisa trionfava a Sanremo, Nanni Moretti vinceva a Cannes con “La stanza del figlio”. L’Italia intera parlava di Erica e Omar e seguiva sulle pagine di cronaca nera gli sviluppi del delitto di Novi Liguri. Certo, il Pil non volava nemmeno allora, ma oggi quel tasso di crescita all’1,8 per cento sembra un miraggio irraggiungibile. E fino all’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre, il futuro non sembrava poi così male. Anno 2001, l’ultimo con la lira: per Confindustria è lì che l’Italia si è fermata. Da allora ad oggi sono tempo perso e occasioni sprecate.
Nel 2001 eravamo un po’ di meno e un po’ più giovani. Negli ultimi 15 anni la popolazione è aumentata da 57,8 a 60,7 milioni e l’indice di vecchiaia è passato dal 127 al 154 per cento. Nel 2001 ci sposava ancora: 260 mila matrimoni, oltre il 60 per cento con rito religioso, contro gli attuali 194 mila e il milione di coppie di fatto. Di unioni omosessuali, allora, nemmeno parlarne, pur se la Germania, proprio in quell’anno, le legalizzava. Gli stranieri residenti erano meno di un milione mezzo, ora sono 5 milioni.
La grande crisi era ancora lontana, ma già non eravamo un Paese per giovani. Nel 2001 il tasso disoccupazione fra gli under 25 sfiorava il 24 per cento (oggi quasi il 37) e già c’erano 1,4 milioni di Neet. Ora sono 2,5 milioni, pur se in lieve diminuzione. Il tasso di disoccupazione, nel 2016 all’11,5, già stava al 9,3. Le diseguaglianze fra sessi e le differenze sul territorio esistevano anche quindici anni fa e non sono mai state sanate.
Nel 2001 i consumi anni Ottanta e lo shopping forsennato erano cosa ben lontana, ma la domanda interna cresceva pur sempre al ritmo del 2 per cento, contro l’1 stimato oggi dai più ottimisti. L’inflazione vantava un tasso quasi da manuale: 2,8 per cento, oggi siamo sotto zero. Dopo 15 anni la domanda langue ancora e la deflazione impera. Andare al cinema in una sala di prima visione costava in media 8 mila lire, poco più di 4 euro. Ora ne servono più o meno 8, ma per spingere la domanda il ministero dei Beni Culturali ha varato l’iniziativa del film a due euro il mercoledì sera.
Non ce n’era molta, nemmeno allora. O meglio la fiducia è crollata dopo l’attentato dell’11 settembre e come segnala Confindustria da lì pare non si sia mossa. Il Censis quell’anno parlava di nuovi spettri: gli attentati, ma anche la «mucca pazza», il cui primo caso in Italia fu segnalato proprio nel 2001. Il clima non è cambiato di molto: oggi come allora le famiglie, quando possono, preferiscono applicare la teoria del risparmio cautelativo. Nemmeno il bonus da 80 euro ha rilanciato la domanda intera. E invece aumenta la quota di chi non può: per quanto riguarda la povertà, il Paese non si è fermato. Quella assoluta nel 2001 riguardava 926 mila famiglie, il 4,2 per cento del totale, ora sono 1.582 mila, quasi due punti percentuali in più.
«Studiare, competere, premiare il merito, lasciarsi alle spalle la paura generata dall’ignoranza e non dare la colpa all’inadeguatezza della classe politica: è l’intero Paese che deve cambiare». Questa la ricetta per uscirne secondo Giovanni Vecchi, professore di Economia all’Università di Tor Vergata di Roma ed esperto in povertà e diseguaglianza per la Banca Mondiale. «Il declino è partito ancora prima del 2001, alla fine degli anni Novanta. Mancata crescita, aumento della diseguaglianza e della povertà si combattono con la competitività, e solo l’istruzione può farla crescere. Dobbiamo ripartire da lì».