la Repubblica, 16 settembre 2016
Parisi, la svolta dell’uomo nuovo della destra moderata
Stefano Parisi può cerchiare la data sul calendario perché oggi comincia la sua missione politica. Finora ha svolto un certo lavoro preparatorio, ma adesso le suggestioni non sono più sufficienti. E si capisce perché. L’elenco delle priorità per l’uomo nuovo della destra moderata è così lungo da apparire sotto vari aspetti contraddittorio. In pratica si tratta di recuperare alcuni milioni di elettori smarriti; costruire un rapporto non subordinato con la Lega; evitare di infilarsi in una guerriglia permanente con quel che resta della “nomenklatura” di Forza Italia. E soprattutto convincere gli italiani che il centrodestra sta definendo una rinnovata e autentica leadership, non solo la prosecuzione del berlusconismo con un altro nome (ma il vecchio leader dietro le quinte in questa fase è essenziale).
Ognuno di questi punti richiede tempo, freschezza ideale e una buona organizzazione. Sono note le qualità di Parisi, un “manager” che conosce la politica e le sue regole. Ma lui è il primo a sapere che non siamo più nel 1994, quando il crollo del sistema permise a un abile imprenditore delle televisioni di presentarsi come il leader liberale che in realtà non vorrà né saprà mai essere. Il buon senso e il pragmatismo di Parisi sono doti preziose, ma oggi rimettere in piedi un’area politica distrutta è un compito immane. Non basta avere qualche buona idea in politica interna e internazionale. Bisogna avere la tempra per fare e vincere una serie di battaglie realmente liberali, senza paura di scontentare – quando è il caso – intere categorie di elettori e di intaccare sacche di privilegio consolidato. Nessuno infatti può credere che quei dieci milioni di voti che Parisi vuole ritrovare siano tutti di liberali delusi. Ed è meglio non illudersi che la futura alleanza con Salvini, a cui offrire magari un rilancio del federalismo, sia un affare semplice, al di là dell’opportunismo.
In fondo Berlusconi ha sempre giustificato il proprio fallimento accusando le resistenze di vari soggetti: i suoi stessi alleati, in primo luogo, poi le istituzioni e la cultura post-comunista diffusa. Oggi gli alibi sono finiti da un pezzo e Parisi dovrà percorrere una strada diversa. Non potrà essere l’interprete di una spinta anti-sistema poiché lo spazio è già occupato dai Cinque Stelle. E anche perché non sarebbe la sua parte, essendo egli un uomo dell’establishment, votato a restituire credibilità al centrodestra agli occhi dell’opinione pubblica, sì, ma anche rispetto ai centri economici e alle cancellerie occidentali. Non a caso i suoi nemici interni – non sono pochi – lo hanno criticato perché nelle scorse settimane si è ben guardato dal criticare Angela Merkel ed è rifuggito dai soliti schemi anti-Unione. Invece ha detto che i problemi del Paese dipendono dagli italiani e non dalle congiure tedesche.
Sarebbe strano se avesse fatto il contrario, visto che Forza Italia è parte integrante del Partito popolare europeo e Parisi, avversario del populismo, vuole irrobustire, non indebolire questa presenza. Di qui derivano una serie di conseguenze. Ad esempio, è chiaro che nella nuova, possibile alleanza sarà assegnato alla Lega un ruolo di fatto gregario. E Salvini dovrà riflettere a fondo prima di rifiutare, considerato che gli ultimi sondaggi indicano un regresso leghista: circa due o tre punti al di sotto del massimo storico.
Ma la prova più ardua che attende a breve termine Parisi riguarda, come è ovvio, il rapporto con Renzi e quindi la posizione sul referendum e la legge elettorale. Ora il No è stato affermato con una certa decisione, dopo varie titubanze, ma resta da capire se il leader designato riuscirà a mettere ordine nel caos del centrodestra dove solo pochi (Brunetta fra tutti) si sono battuti fin qui contro la riforma renziana. Anche sulla legge elettorale Parisi dovrà prendere una linea, anziché limitarsi a lasciare la palla nel campo di Renzi per vedere come se la cava. Non basta dire che non si faranno accordi sottobanco con il presidente del Consiglio. Dopo il referendum il quadro cambierà in modo radicale a seconda che il premier esca vittorioso o sconfitto dalle urne.