Corriere della Sera, 16 settembre 2016
Autisti e facchini, gli schiavi dell’ecommerce
La modernità e il suo contrario. L’ecommerce e il lavoro da schiavi. Le contraddizioni che attraversano i grandi poli logistici come Piacenza sono laceranti e purtroppo episodi luttuosi come quello di ieri si possono ripetere quasi quotidianamente. La verità è che la filiera italiana della logistica, un settore decisivo per lo sviluppo delle economie moderne, opera in totale spregio alla qualità del servizio e del lavoro. I committenti pur di risparmiare si servono di un sistema di appalti e subappalti con pochi controlli e nel quale si può infiltrare letteralmente di tutto. Padroncini senza scrupoli, false cooperative, caporalato etnico, criminalità organizzata e piccoli sindacati spregiudicati. È la realtà di una terza classe operaia, assai differente dalle tute bianche dell’industria 4.0 o anche dai tradizionali operai delle linee di montaggio, è un proletariato dei servizi composto al 90% da lavoratori extracomunitari. Sono per lo più marocchini, tunisini e pachistani, reclutati anche tramite gli imam, che accettano di lavorare in dumping con paghe e orari assai distanti da quelli previsti dal contratto nazionale. Straordinari compresi si arriva ai mille euro. Mentre tra i metalmeccanici gli operai immigrati sono vicini alle organizzazioni confederali e li si può vedere facilmente nei cortei e nei volantinaggi, tra i 400 mila facchini che lavorano in Italia per Cgil-Cisl-Uil lo spazio è stretto e ad aver la meglio sono i vari Cobas. Nelle loro mani gli extracomunitari diventano delle «macchine per la lotta selvaggia», quasi mai gli scioperi vengono indetti regolarmente e invece la modalità prevalente di lotta è il blocco selvaggio. E qui scatta la contrapposizione violenta con i camionisti, che spesso vengono dall’Est Europa, e sono anch’essi espressione di un altro dumping sociale. Per lavorare con un minimo margine di guadagno sovente saltano anche i riposi e se sono bloccati ore e ore ai cancelli delle fabbriche dalle lotte dei facchini finiscono per dare i numeri. La loro retribuzione a forfait diventa sempre più magra. Il paradosso è che questa contrapposizione che sa tanto di mors tua, vita mea si svolge nella civilissima Emilia-Romagna, nei 140 chilometri che separano la piattaforma logistica di Piacenza (che ospita tra gli altri Amazon e Ikea) dall’Interporto di Bologna. Le imprese serie e i sindacati hanno denunciato già in passato questo clima da Far West ma non è servito praticamente a niente. Le autorità seguono le vicende legate ai blocchi selvaggi e ai picchi di conflittualità con timore e spesso finiscono per spingere gli imprenditori a ricercare il compromesso a tutti i costi per chiudere le vertenze e quindi a venire a patti con i Cobas. Ma così non si risolve nulla, le agitazioni si ripetono regolarmente e si cerca sempre la contrapposizione più dura. Come si diceva una volta, si alza la posta. Per evitare che questo sistema fatto di appalti, prevaricazioni e lavoro iper-sfruttato si perpetui è necessario «illuminare» la scena non solo quando succede l’irreparabile come ieri. L’ecommerce è in crescita, il lavoro non manca, si tratta solo di ripristinare la legalità e corrette relazioni industriali. Non è impossibile.