La Stampa, 16 settembre 2016
Il triangolo della morte tra Giordania, Siria e Iraq
Sembrano sepolcri primitivi. Ovali disegnati con sassi disposti sulla sabbia rossastra. Lapidi fatte da pietre piatte più grandi, piantate in verticale. Non c’è un nome né un fiore perché la pietà umana, nella terra di nessuno fra Giordania, Siria e Iraq, oltre non può andare. Sono le sepolture dei profughi siriani intrappolati in quel triangolo di deserto dove hanno cercato rifugio dalla guerra civile e da dove non possono più uscire. Almeno 75 mila, secondo le organizzazioni umanitarie. La Giordania ha sigillato l’area, circa mille chilometri quadrati, dopo l’attacco dell’Isis al suo posto di frontiera di Rukban, il 21 giugno. Sette le guardie uccise. Secondo fonti non confermate i terroristi hanno usato un camion che serviva a portare aiuti umanitari, imbottito di tritolo, e hanno ingannato i soldati. Fatto sta che Amman è irremovibile.
Attivisti siriani dell’area di Palmira hanno inviato le immagini delle tombe ad Amnesty International e parlato di «cimiteri improvvisati» sempre più grandi. La ong ha verificato attraverso immagini satellitari e confermato l’esistenza di centinaia e centinaia di sepolture. Si trovano in mezzo alle tende e ai rifugi improvvisati vicino a Rukban, in pieno deserto. In cinque mesi è arrivato al campo un solo convoglio con cibo, acqua, medicinali, ai primi di agosto. Poi nulla. La gente muore, spiega Tirana Hassan, responsabile dell’Unità di risposta alle crisi di Amnesty, «per malattie che potrebbero essere benissimo curate se fosse consentito l’accesso alle strutture mediche della Giordania o consentito l’invio di medicinali e materiale per i trattamenti di base». Infezioni, dissenteria dilagano perché «le scorte di cibo stanno finendo», scarseggia l’acqua potabile e le persone sono sempre più deboli.
Il campo profughi di Rukban, il primo passo verso la salvezza fino a qualche mese fa, è diventato una trappola. La fermezza della Giordania dipende però anche dal rischio mortale che corre il regno hashemita. L’Isis ha infiltrato la capitale, compresi i campi profughi palestinesi e siriani, con cellule pronte a colpire. L’assalto alla sede dell’Intelligence nel campo profughi di Buqaa, il 6 giugno, è stato il primo campanello d’allarme. L’attacco al posto di frontiera del 21 ha messo allo scoperto una frontiera lunga 300 chilometri, controllata in parte da un pugno di ribelli siriani moderati del New Syrian Army e dove le colonne dell’Isis possono infiltrarsi con facilità.
La Giordania ospita 650 mila profughi siriani su una popolazione di 6,5 milioni. E denuncia di non ricevere abbastanza aiuti per l’emergenza. Di sicuro non i tre miliardi promessi alla Turchia per i suoi 2,5 milioni di rifugiati. Ma se la situazioni nei campi vicino alla capitale è soddisfacente a Rukban è l’inferno. «Per i bambini è durissima. Abbiamo acqua da bere ma pochissimo cibo e latte – conferma Abu Mohammed, nel campo da cinque mesi –. Ad agosto hanno distribuito un chilo di riso a persona, lenticchie e datteri. Ma da un mese non riceviamo più nulla». Le Ong stanno cercando di aggirare il divieto di accesso. Una gru è stata posta accanto alla barriera di sabbia che separa la terra di nessuno dalla zona accessibile. E qualcosa riesce a passare. Ma non abbastanza per salvare tutti.