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 2016  settembre 16 Venerdì calendario

L’esordio di Boris Johnson in Europa

«Questo palazzo è quasi bello come la nostra City Hall di Londra…». Giacca blu e cravatta rosa, i caratteristici capelli biondi un po’ spettinati, sorride sornione – «sto scherzando» – e abbozza un saluto in italiano, Boris Johnson, guardandosi intorno nella piccola ma elegante sala degli Elementi di Palazzo Vecchio, a Firenze, per la prima volta in visita in Italia da quando è ministro degli Esteri. 
Da quando cioè la Brexit è realtà, Cameron si è dovuto dimettere e lui, vulcanico ex sindaco di Londra che della campagna per uscire dalla Ue è stato uno dei più accesi sostenitori, ha guadagnato la poltrona di responsabile degli Esteri nel nuovo governo di Theresa May. Un posto di primo piano, per quanto depotenziato dalle deleghe convogliate sul collega del Commercio estero e quello della Brexit, come maliziosamente gli fa notare un giornalista inglese: «Quanto è autorizzato lei a parlare di Brexit?» («il nostro governo è come un nido popolato da tanti uccellini che cantano ognuno nel suo ruolo», sfodera la metafora con un sorriso).
Così, soprattutto di Brexit viene a parlare per un’ora con il nostro ministro Paolo Gentiloni, oltre che di Siria («il cessate il fuoco è un’ottima notizia»), di Libia, di migranti, quando promette di voler aiutare l’Italia, «vogliamo fare la nostra parte», perché «è un problema europeo», ma scivola su una gaffe: «Con le nostre navi abbiamo già respinto 200 mila migranti… no, mi corregge l’ambasciatore: li abbiamo salvati». 
Viene a rassicurare che «non abbiamo mai contemplato l’idea di introdurre visti», e quindi i 600 mila italiani che vivono in Gran Bretagna non corrono nessun rischio, purché ci sia «reciprocità» («mi dicono che ci sono circa 20 mila britannici che vivono nel Chianti: anche i loro diritti devono essere protetti»), che «vogliamo lasciare i trattati ma non l’Europa», che l’uscita inglese può essere «una situazione win win, in cui entrambi vinciamo». Concorda sulla richiesta italiana di tempi certi per stabilire l’uscita, ma non dice quali saranno, quando cioè il governo britannico avvierà formalmente i negoziati: «Penso sarà all’inizio del prossimo anno», dichiara Gentiloni, e la notizia è confermata da fonti inglesi. Un’uscita che poi richiederà un paio d’anni per realizzarsi, durante i quali, spiega il ministro italiano, «bisognerà trovare un punto d’equilibrio tra mercato unico e libera circolazione delle persone»: certo, sottolinea, «non accorderemo il mercato unico se si dovesse rinunciare completamente alla libera circolazione delle persone». Idea che però respinge l’energico ministro inglese appassionato di latino (il sindaco Nardella gli regala un volume di poesie di Catullo) scatenato in campagna elettorale contro la Ue (arrivò a paragonarla a Hitler), e oggi, vincitore del referendum, convinto si possa trovare un modo per uscire senza troppi traumi. E mantenendo rapporti di buon vicinato: «In Gran Bretagna beviamo 300 milioni di litri l’anno di prosecco: non vorremmo certo un dazio sul vino italiano».