Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2016
Mps, quel falò da 12 miliardi di ricapitalizzazioni bruciate
Ne sono tutti consapevoli. Quella dell’ennesimo aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena è l’ultima chiamata. Quella decisiva e definitiva. E non si può sbagliare, tema un poderoso effetto contagio sull’intero sistema bancario italiano. Tutti, dai grandi soci che hanno provato a più riprese a insediarsi sulla tolda di comando, fino al più piccolo degli azionisti sono rimasti bruciati da quella lunga teoria di aumenti di capitale che dal 2012 al 2015 ha raccolto denari freschi per oltre 12 miliardi. Soldi tutti finiti nel falò delle perdite che dal 2011 al 2014 sono ammontate a ben 14 miliardi. Un tributo pesantissimo per i soci di Siena da ascrivere in buona parte (tolte le perdite sul costosissimo acquisto di AntonVeneta) a quella montagna di sofferenze e incagli, eredità della gestione Mussari-Vigni che non hanno mai smesso di crescere, trasformando la banca nel malato cronico del sistema. Quei crediti malati lordi erano 23 miliardi nel 2011 sono lievitati a 47 miliardi a fine 2015. La banca ha dovuto così caricarsi il fardello delle svalutazioni e degli accantonamenti trimestre su trimestre, generando il buco miliardario. E nonostante ciò la montagna dei prestiti deteriorati netti è diventata la zavorra che continua a schiacciare verso il basso la banca. Tuttora Siena detiene tra i big bancari il nefasto primato: più di un credito su 5, nonostante le svalutazioni già operate, è a rischio di rientro. I crediti malati netti sono 23 miliardi su 108 miliardi del portafoglio complessivo. Valgono tuttora più del doppio del capitale attuale della banca, un livello che rende Mps la banca tra i big del sistema con le gambe in assoluto più fragili. Se non si riportano quei livelli di Npl nell’alveo più fisiologico dei competitor, Mps continuerà a essere un rischio estremo, in una sorta di declino agonico. Non è un caso che la Bce abbia preso il toro per le corna. La banca va ripulita in un colpo solo, senza indugio: i suoi parametri di qualità dell’attivo devono potersi allineare al resto del sistema. Altrimenti come è accaduto finora tutto si trasformerà in un’inutile fatica di Sisifo. Svaluti le sofferenze, che però continuano a crescere, mangi pezzi di patrimonio e ogni anno sei di nuovo lì a dover ripristinare il capitale, sapendo già che basterà a galleggiare per poco tempo. Questo finora è stato il film amaro di Mps. Certo quella pulizia drastica che porterebbe i parametri di rapporto tra prestiti malati e impieghi e capitale più vicini alla media delle altre banche, ha come effetto una nuova svalutazione e quindi un’ultima ricapitalizzazione. Si potrà discutere all’infinito se i 5 miliardi di questo aumento siano eccessivi. Ma questa volta si va ad aggredire in modo strutturale quell’anomalia del peso abnorme di sofferenze e incagli che hanno fatto di Siena negli ultimi anni per antonomasia la banca pericolante italiana. Del resto basta guardare tuttora come il peso delle rettifiche condizioni i conti. Nel 2015 solo le perdite sui crediti si sono mangiate il 40% dei ricavi totali della banca. E con l’aria che tira sul fronte dei ricavi declinanti (per tutti non solo per Mps) quella percentuale pesa e non poco sulla redditività finale. Negli ultimi 12 mesi il calo dei ricavi per Siena è stato del 10,8%. Ecco perchè se non si aggredisce in un colpo solo la mole così abnorme di sofferenze e incagli, il destino della banca sarebbe quello, come è stato finora, di un eterno limbo.