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 2016  settembre 15 Giovedì calendario

Un giro a Pittsburgh a bordo della macchina che si guida da sola

Pittsburgh Sono parcheggiato in uno sterrato davanti alla vecchia fabbrica del ketchup Heinz. Sono le prime ore di un lunedì mattina e sono frustrato. La mia macchina che guida da sola non vuole cominciare a guidare da sola. L’ingegnere seduto accanto a me sul sedile del passeggero, dipendente di Uber da ben tre settimane, interviene per dirmi che devo spegnere la macchina e farla ripartire, come quando si riavvia un computer.
Nel mio caso, il «computer» è una Ford Fusion ibrida riadattata, nome in codice Boron 6, dal boro, elemento chimico molto usato in calamite, detersivi per i panni e reattori nucleari. Uber l’ha attrezzata con più di 20 telecamere, 7 laser, un sistema di rilevamento che può ruotare di 360 gradi e altri 1.400 componenti modificati che restituiscono in tempo reale milioni di bit di dati sul contesto che attraverso stando al volante. Volante a cui un giorno, se la macchina funziona come reclamizzato, né io né nessun altro si siederà mai più.
Per ora, una manciata di chilometri quadrati nel centro di Pittsburgh rappresenta i sogni uberiani di un futuro mobile, in cui la gente non avrà più bisogno di possedere un’auto e si limiterà a chiamare un tassì sicuro e senza conducente direttamente dal suo smartphone. Uber ha presentato ai suoi clienti più fedeli, qui a Pittsburgh, un programma pilota di automobili a guida autonoma, offrendo l’occasione di chiamare per la prima volta un tassì senza conducente. «È una delle cose più importanti che faranno i computer nei prossimi dieci anni», dice Anthony Lewandowski, responsabile del progetto di automobili a guida autonoma di Uber e cofondatore di Otto, una start-up di veicoli senza conducente acquisita da Uber il mese scorso. «La guida senza conducente gioca un ruolo centrale nella mission di Uber di garantire un trasporto affidabile, ovunque e per tutti».
L’ho sperimentato sulla mia pelle durante quasi un’ora di viaggio a bordo del Boron 6, in mezzo al traffico scorrevole del centro di Pittsburgh. In certi momenti, durante il viaggio, che ho passato per la gran parte seduto sul sedile posteriore del Boron 6, il mio ingegnere ha dovuto prendere in mano il volante e attraversare incroci dove gli abitanti del luogo notoriamente tendono a sfrecciare. Quando un camion è andato illegalmente a marcia indietro nella strada, il mio ingegnere ha pigiato il piede sul freno, prendendo immediatamente il controllo del mezzo. Se l’ingegnere avvertiva una qualche situazione di pericolo poteva, in qualsiasi momento, premere un grande bottone rosso al centro del cruscotto (sospettosamente simile al pulsante per l’espulsione del sedile dei film di James Bond) per disattivare la modalità di guida autonoma. Per riattivarla, non doveva far altro che premere un elegante bottone d’acciaio vicino a una targa con nome in rilievo impressa sul cruscotto.
Se come passeggero mi sentivo in pericolo potevo chiedere che il guidatore prendesse il controllo del mezzo, oppure premere un pulsante su uno schermo posto di fronte al sedile posteriore per interrompere la corsa. Ho anche monitorato la riproduzione a infrarossi dell’ambiente circostante che passava sullo schermo, un aggiornamento tridimensionale in tempo reale, e ho scattato un selfie con una macchina fotografica incorporata nel cruscotto. Al termine della corsa, Uber invia ai passeggeri una gif animata in 3D del percorso seguito, insieme al selfie.
Ma quasi mai mi sono sentito in pericolo. Nella modalità a guida autonoma, le svolte e gli arresti della macchina erano estremamente fluidi, e spesso dovevo controllare se era il mio autista o il computer che stava girando il volante. Mi sono innervosito in due o tre occasioni vedendo che il computer ci faceva passare vicinissimi alle macchine parcheggiate sul lato destro della strada. Ma probabilmente era la mia mente che mi giocava scherzi, spingendomi a essere più vigile del solito su quello che avevo intorno.
Secondo Uber, la macchina senza conducente guida in molto più sicuro di qualsiasi conducente umano. Agli incroci ci faceva fermare a debita distanza dalle macchine di fronte. Rispettava alla lettera il limite di velocità (40 chilometri all’ora nella parte di città che abbiamo attraversato) anche se in giro non c’era nessun’altra macchina. A un semaforo, l’auto ha aspettato il verde per voltare a destra, suscitando l’irritazione dei guidatori umani dietro. Uber dice che le macchine autonome possono ridurre il numero di morti sulla strada.
Quando il mio viaggio a bordo del Boron 6 si è concluso (in totale ho percorso una trentina di chilometri), la sensazione era quella di essere una celebrità, o meglio un marziano. Gli altri automobilisti mi guardavano a bocca aperta e un bambino col monopattino mi ha fissato dall’angolo della strada facendo cenno a sua madre di venire a guardare. Ci saranno dei bug, come quello che è toccato a me la prima volta che mi sono messo dietro al volante, quando la macchina che guida da sola non riusciva a guidare da sola. È proprio a questo che serve il test pilota. Per me ci sono voluti circa dieci minuti di individuazione degli errori per risolvere i malfunzionamenti, ma il Boron 6 alla fine si è acceso e ha cominciato a guidare da solo. O meglio, a guidare da solo dopo un piccolo intervento umano.