ItaliaOggi, 14 settembre 2016
Dal 1° novembre in Russia scatta l’embargo sul sale
Le controsanzioni di Vladimir Putin diventano salate, è proprio il caso di dirlo. Ieri il governo russo ha deciso di ampliare il paniere dei prodotti attualmente sotto embargo includendo anche il sale, quello da cucina, il cloruro di sodio. Il decreto, pubblicato ieri sull’equivalente della Gazzetta Ufficiale della Federazione Russa, prevede l’entrata in vigore a partire dal primo novembre.
Quindi da quella data gli chef che lavorano a Mosca, tanto per fare un esempio, non potranno più preparare un succulento roast beaf al Sale dolce di Cervia.
Il provvedimento si applica all’embargo che colpisce Stati Uniti, Unione europea, Canada, Norvegia e Australia e che vieta le importazioni in Russia di carne, salumi, latticini, frutta e verdura, pesce e frutti di mare. Queste limitazioni al commercio saranno in vigore sino alla fine del 2017 e, secondo il ministro dell’agricoltura Alexander Tkachev, «daranno ulteriore impulso all’agricoltura russa e consentiranno di migliorare la qualità dei prodotti alimentari nazionali».
L’embargo sul sale sembrerà un’inezia, ma indica come la strada da fare per riaprire i canali commerciali con la Russia sia ancora irta e piena di insidie. Ancor di più dopo che Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si sono riavvicinati e, da quanto trapela, l’embargo sulla Turchia potrebbe presto essere cancellato.
In questo scenario l’Italia continua a pagare un caro prezzo sul fronte commerciale. Il premier Matteo Renzi vorrebbe veder volare l’export agroalimentare Made in Italy a quota 50 miliardi di euro nel 2020, ma intanto l’embargo, secondo le stime di Coldiretti, nei suoi primi due anni è costato al Belpaese 7,5 miliardi. «La guerra commerciale con la Russia ha colpito duro interrompendo bruscamente una crescita travolgente delle esportazioni agroalimentari italiane verso la Russia, che nei cinque anni precedenti il blocco erano più che raddoppiate in valore (+112%)», sottolinea l’associazione guidata da Roberto Moncalvo. «In termini quantitativi nel corso dei due anni di embargo», stima la Coldiretti, «sono stati respinti dalle frontiere russe 39,4 milioni di chili di mele italiane, soprattutto della varietà Granny Smith, ma anche 29,5 milioni di chili di uva da tavola, 29,9 milioni di chili di kiwi, 2,8 milioni di chili di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, 14,2 milioni di chili di pesche e nettarine».
Intanto in Russia l’offerta commerciale della grande distribuzione è stata ridotta e prosegue il processo di sostituzione dei prodotti alimentari con altri fatti in Russia (il settore caseario e zootecnico ha subito un’accelerata) oppure importati da nuovi Paesi fornitori. Parallelamente si è assistito a un generale aumento dei prezzi degli alimentari.