ItaliaOggi, 14 settembre 2016
Il vecchio Pansa si racconta
Giampaolo Pansa è tornato in libreria, ma questa non è una notizia. Ormai ci ha abituato a lavori a getto continuo e senza mai scadere di tono, per la gioia del suo editore, Rizzoli. La novità è che lo fa con un romanzo, Vecchi, folli e ribelli, in cui non parla di politica, di giornalismo, né dei vinti di Salò. “Ma questi ultimi erano giovani”, dice al telefono dal suo buen retiro toscano, “e si trovavano nel pieno delle forze. L’esatto contrario degli anziani senza mezzi di oggi”. Sì perché, appunto, al centro di questo libro, c’è la terza età, anzi la vecchiaia come precisa lui, da sempre allergico al politicamente corretto.
Pansa, un libro sui vecchi, una sorpresa. Ma perché questa scelta?
«Intanto questo libro, in qualche modo, rimedia un’assenza».
Vale a dire?
«Sui giovani sulle donne sul femminismo, sugli omosessuale, sui delinquenti, ma non ci sono libri sugli anziani».
Secondo lei, per quale motivo?
«La vecchiaia fa paura, anche molta, persino a chi ne è lontano. A me che ci sono dentro no davvero».
Vabbè lei, vecchio anagraficamente, batte i trenta-quarantenni a iosa.
«Se il Padreterno me lo consente, il prossimo 1 ottobre, faccio ottantuno anni, Pistelli. Otto, uno. Anzi, sa quando mi è venuta l’idea di questo libro? L’anno scorso, perché, per gli 80, tutti mi facevano gli auguri. E auguri di qui, e auguri di là, tanto che io rispondevo: “Eh che cazzo, dovreste farmeli se diventassi milionario al Superenalotto, se vincessi lo scudetto. Che sarà mai. Invece..».
Invece?
«Invece mi sono reso conto, e quella data me l’ha confermato, che gli anziani non sono affatto un soggetto di moda: l’anziano rompe, si lamenta, pretende di saper tutto, non vuole accettare l’età che il Padreterno gli ha concesso di avere. È chiaro, il vecchio non piace».
Quindi lei ha scritto quasi per reazione.
«Ho voluto dire che, durante la vecchiaia, la vita continua. Ho pensato di raccontare momenti belli e meno brillanti: il terrore di ammalarsi, la paura di diventare poveri, il problema del sesso, difficile da risolvere. Ma l’ho fatto in modo lieve, anzi qualcuno mi dice che ho scritto un libro umoristico».
In effetti c’è una levità che lo percorre longitudinalmente. Le storie di Mario ed Elena, che sembrano molto lei e la Adele Grisenti, la sua compagna da quasi trent’anni, ma poi tante altre storie, a volte romanzate a volte no.
«Sì, mi è capitato di riordinare il mio archivio – sa che io ogni giorno leggo una mazzetta di 10 quotidiani? – e di leggere che, ogni anno, 5mila over 65 prendono mogli straniere, spesso le badanti. Ora Adele ha 12 anni meno di me..».
E non mi pare che le faccia da badante...
«Infatti. Però io questa schiera di sposi maturi la capisco. C’è la paura della solitudine, c’è il problema del sesso».
Appunto, qui di sesso raccontato ce n’è tanto.
«Me lo obiettava un po’ anche Adele, mentre lo scrivevo. Ma è una questione vera, perché, per i maschi soprattutto, affrontare quel tipo di declino è uno shock. Guardi che ne ho parlato con geriatri, mi sono documentato. E il Viagra è stato una grande invenzione».
Gli dedica un capitolo.
«Certo anche se non lo uso, per ora non ne ho bisogno. Mi ricordi la sua età, Pistelli?»-
Io ho 53 anni.
«Beh lei non ne ha bisogno».
Spero per molto ancora.
«E mica vorrà negare la sua stessa possibilità, a quelli che hanno pochi anni più di lei? (ride). Io comunque il Viagra ce l’ho: è la scrittura. Ho scritto 62 libri e sono stati tutti libri che ho voluto, non mi hanno mai imposto cose che mi annoiassero. Al mattino, devo accendere il pc e mettermi alla tastiera».
Su questo elogio del sesso senile, qualcuno la criticherà: non è più umana la pace dei sensi?
«Ma codesta è un’ipocrisia assurda, anzi la pace dei sensi fa ridere. Se mettiamo i sensi in pace vuole dire che non scandalizziamo più un per politico che ruba? Per un matto che fa lo stalking? Per un pedofilo?
Lei dice che la pace dei sensi non può essere selettiva.
«Eh certo. La vita è fatta di tante cose diverse. E comunque, nel libro, parlo anche delle molte paure che percorrono gli italiani della terza età, come le dicevo prima, incluse quelle di diventare poveri, perché la tua banca ti frega, come nel caso dell’Etruria, o l’invidia per i giovani».
Qui la voglio. Qua e là, nel libro, si percepisce l’idea che non siamo un paese per vecchi, come diceva quel film dei fratelli Coen. Ma è poi così vero? Negli ultimi 20 anni i giovani l’abbiamo assai maltrattati.
«Seee, maltratti. Ma se c’è tutta la retorica di fare per i nostri figli, per il futuro. Guardi che io ho scritto una tesi di 600 pagine, oggi se la cavano con 40».
E vinse un premio Einaudi, perché la dedicò alla Resistenza fra Genova e il Po.
«Sa cosa le dico? Quando vedo un giovane che non ha cose da fare, mi sento tremare per lui: non combinerà mai un cazzo. I giovani sono portati in palmo di mano dagli anziani. Poi, va da sé, che i vecchi non vogliano cedere il passo. È umano. Solo che ora sentono uno (bip) come Matteo Renzi, che si vanta di rottamare: ma vada a quel paese, io rottamo lui».
Addirittura.
«Certo, se le interessa, scriva pure, che voterà No al referendum».
Fatto. Ma lei trova che ci sia davvero una retorica giovanilista in Italia?
«Certo che c’è. E ho cercato di smontarla con questo libro».
Che anziani ha incontrato nella sua vita, Pansa?
«Guardi, il primo con cui ho avuto a che fare è stato Giulio De Benedetti, mio primissimo direttore a La Stampa. Un anziano vero».
Il mitico Gibidì, coi capelli all’umberta.
«No, aveva il ciuffo, il ciuffo lungo. E aveva 70 anni quando mi assunse e io, essendo stata la fine degli anni 60, si è no 25. Mi convocò in redazione, a Torino, col segretario di redazione, il professor Fausto Frittitta. Non mi sbagli questo nome, Pistelli, Frit-tit-ta, era un campione della stenografia».
Controllo con Google, prometto. Ma come andò, quel primo scontro generazionale?
«Mi chiese quanto guadagnassi all’Istituto Feltrinelli. Gli risposi, mi pare, 59mila lire. Lui disse, guardando il segretario: ’Facciamo 100 perché si deve trasferire da Milano a Torino’. E siccome feci un’espressione strana, che però era di stupore positivo, Gibidì, sempre rivolto a Frittitta dicendo: “Ecco, questi giovani non sono mai contenti. Facciamo 120mila e dal 1 gennaio prende servizio in cronaca”».
Beh, insomma, nessuno scontro.
«Ma per carità. Quando De Benedetti entrava nel salone della redazione, con in mano i fogli azzurri e rosa dei dimafonisti, ci alzavamo in piedi. Tutti. Finche lui non diceva: “Signori, seduti”. Un anziano, comanda».
Un istinto?
«Ma no, il fatto è che se uno non arrivato in un posto che occupa, per ragioni di partito, di camarilla, o metta lei la via tortuosa che le pare, se c’è arrivato perché lo merita, è chiaro che comandi! Ma insomma, Eugenio Scalfari scrive ancora, a 92, i suoi editoriali domenicali, Piero Ottone, suo coetaneo, lo fa ancora sul Venerdì, mi pare. Li leggo sempre volentieri, sono anziani di ferro».
Senta fra i politici che raccontava nella prima Repubblica, osservandoli col binocolo nei grandi congressi di partito.
«Li raccontavo ma non ho mai avuto una grande attrazione, sa».
Sì ma li guardava col binocolo durante i grandi congressi politici...
«Ah quello erano un Zeiss, allora fabbricato in Germania Est. Me lo regalò Alberto Nicolello, allora capoufficio stampa alla Fiat. Sa, allora non c’era la crisi e, a Natale, le aziende facevano qualche strenna».
E allora, fra i politici attuali?
«Di Renzi le ho detto. Ma gliene dico un altro. Giovane pure lui».
Prego.
«L’altro giorno a La7 c’era Maria Teresa Meli del Corriere della Sera.».
Non giovanissima, direi...
«Mi faccia finire. La Meli mi piace, è una renziana al cubo, ma è una guerriera, e a me le combattenti sono sempre piaciute. Collegato da fuori studio c’era Roberto Speranza, un giovane su cui la sinistra bersaniana conta molto».
È il capo di Area riformista, la corrente antirenziana e pro-Ditta.
«Ora la Meli, in studio, a un certo punto, ha detto praticamente che chi votava No..».
Come Speranza...
«...era un malato di mente. E quello zitto, non ha replicato. Ma come si fa? M’è sembrato il giovanottino poratto in un bordello dagli amici e che, dinnanzi alla ragazze seminude, rimanesse fermo in un angolo. Un giovane politico quotato. Siamo un paese pronto per essere governato dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza. Anzi a Roma..».
A Roma?
«A Roma dove Virginia Raggi, un’altra giovane, per quel tira e molla con tutti questi, convinti d’esser politici, Grillo, Di Maio, e come si chiama quell’altro, quello della motocicletta».
Alessandro Di Battista.
«Ecco Dibba. Dicevo la Raggi se ne deve andare. Però non può tornare il prefetto Tronca».
Che non è giovane, diciamo.
«Sì, ma è troppo per bene. Lì ci vuole un bel commissario vecchio e autoritario, un signore che abbia già fatto tutta la carriera che doveva, che se ne sbatta di tutto, e li faccia rigare diritti».
Insomma, questi giovani non li ama troppo. Però gli dia un consiglio.
«Capiscano che nulla gli verrà regalato, che si dovranno conquistare tutto, anche l’aria che respirano. Ma ora basta, Pistelli, ora mi ha stufato, le ho detto un sacco di cose.
Vecchio, folle e ribelle: è anche un po’ un autoritratto, Pansa?
«Non lo so. Io sono uno che tira la carretta da 40 anni, e diverte. Poi, quando il Padreterno si romperà…».
È la terza volta che lei dice «Padreterno».
«Ah sì».
Le ho contate. Significa qualcosa?
«Lei sa che io non sono credente».
Appunto.
«Però ogni sera mi rivolgo a un Gesù bambino in legno, con la barba. Un regalo di uno scultore valtellinese Giovanni Thoux, ti-acca-o-u-ics».
E che cosa gli chiede?
«Che ci custodisca a me e Adele, e ci faccia svegliare bene l’indomani. Dopodiché…».
Dopodiché?
«Dopodiché sarà quel che sarà».