la Repubblica, 14 settembre 2016
Storia degli alterni rapporti con l’amico americano
Quando Alcide De Gasperi scese dall’aereo che lo aveva portato negli Stati Uniti, il 3 gennaio 1947, trovò un’accoglienza che lui stesso definì «gelida»: veniva trattato non come il capo del governo di un Paese amico, ma come un qualsiasi politico straniero in visita negli States. Pessimo segnale, per un presidente del Consiglio partito per Washington con l’obiettivo di ottenere concretissimi aiuti per risollevare l’Italia. Per sua fortuna, le cose cambiarono decisamente dopo il lungo colloquio alla Casa Bianca con Harry Truman. Il giorno successivo gli furono promessi, nell’ordine, 7500 tonnellate di patate, un assegno di 100 milioni di dollari a copertura delle AM-Lire (le banconote introdotte nell’Italia occupata dalle truppe americane) e 100 mila tonnellate di grano.
La prima visita di un capo di governo italiano si era conclusa dunque con un successo inaspettato, e De Gasperi ottenne dall’alleato americano un fondamentale appoggio per le elezioni del 18 aprile, alla vigilia delle quali proprio Marshall – il segretario di Stato autore del celebre Piano lanciò un chiaro avvertimento: «Se il popolo italiano voterà per affidare il governo a un potere nel quale l’influenza dominante spetti ad un partito la cui ostilità al programma di assistenza americano è stata ripetutamente e clamorosamente espressa, dovremmo concludere che il popolo italiano desidera dissociarsi da tale programma». Quando furono aperte le urne, la Dc stravinse con il 48,5 per cento.
Sarà per questo, che da allora quando un presidente del Consiglio italiano si trova in difficoltà chiede aiuto a Washington. Passando naturalmente attraverso l’ambasciata di Via Veneto, che col tempo è diventata sempre più potente, non esitando a intervenire anche apertamente sulle vicende politiche italiane. La prima a farlo fu Clare Boothe Luce. Donna elegante, mondana e algida, non nascose mai la sua antipatia per il presidente Giovanni Gronchi, che considerava troppo amico dei comunisti. E quando, a soli 45 giorni dal suo arrivo a Roma, gli italiani furono chiamati a votare con quella che sarebbe passata alla storia come «legge- truffa», lei si gettò nella mischia in prima persona: incontrò industriali e ministri, porporati e accademici, liberali e monarchici, arrivando a distribuire personalmente crocifissi ai contadini del borgo agricolo “La martella”. E ci rimase malissimo quando il blocco centrista fu sconfitto, per un pugno di voti.
Lunga è la storia dei rapporti tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca: Giulio Andreotti ne fu grande e contrastato protagonista (gli americani non si fidavano del tutto, gli preferivano Cossiga), poi vennero i non-democristiani Spadolini e Craxi e infine Massimo D’Alema. Che riuscì, a soli cinque mesi dal suo insediamento, a farsi ricevere alla Casa Bianca. Era il 5 marzo 1999 e le foto di quell’incontro ci mostrano un D’Alema rigidissimo sulla poltrona color panna davanti al caminetto spento dell’Oval Office, con lo sguardo di uno che teme che da un momento all’altro qualcosa possa andare storto. E certo lui tornò in Italia senza la notizia che molti aspettavano – l’estradizione del pilota americano che aveva provocato la strage del Cermis – ma con una legittimazione politica che valeva oro, per il primo ex comunista arrivato alla guida di un Paese della Nato. In cambio, Clinton ottenne il via libera italiano all’offensiva militare che tre settimane dopo avrebbe dato una svolta alla guerra civile nell’ex Jugoslavia.
L’uomo politico italiano che più di ogni altro si è appoggiato sull’amico americano è però Silvio Berlusconi. Nonostante la sua notoria amicizia con Putin, gli Stati Uniti gli hanno dato una mano preziosa, soprattutto negli anni della presidenza di George W. Bush. L’ambasciata di Roma era stata chiara: «Potremmo essere tentati di considerare Berlusconi un interlocutore poco valido – c’era scritto in uno dei cablogrammi cifrati rivelati da Wikileaks – a causa delle sue fissazioni personali, delle sue gaffes in pubblico e dei suoi imprevedibili giudizi politici, ma crediamo che sia un errore farlo».
E infatti Bush non solo lo invitò alla Casa Bianca, ma lo volle ospite nel suo ranch e lo chiamò persino a parlare davanti ai due rami del Congresso in seduta comune, un onore che era stato riservato solo a De Gasperi, Andreotti e Craxi e che – come risulta da un altro documento riservato svelato da Wikileaks – era stato sollecitato proprio dallo stesso Berlusconi.
All’amico italiano, Bush dedicò un ritratto affettuoso, durante la visita del febbraio 2006: «Ho imparato che Silvio è un uomo che rispetta la parola data, un uomo che assicura stabilità». Parole calorose, che però due mesi dopo non bastarono a Berlusconi a evitare la sconfitta alle elezioni.