Il Messaggero, 14 settembre 2016
Arrestate le gang che rifornivano di coca purissima Roma Nord
Paolo Vuolo per Il Messaggero
Fornivano la cocaina ai clienti vip del quartiere di Roma Nord. Professionisti, studenti figli di ricchi, e un impiegato del ministero della Difesa. Gli incontri tra pusher e clienti avvenivano in posti affollati, dove era difficile immaginare che le forze dell’ordine sarebbero piombate per i controlli perché erano parcheggi di campi sportivi come quello del Don Orione alla Camilluccia e del Boreale a Tor di Quinto (messo sotto sequestro dopo gli scontri per la partita Roma Napoli e la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito). Un altro parcheggio dove i pusher smerciavano la cocaina era quello di Ikea a Porta di Roma (il centro commerciale e i campi sportivi non sono coinvolti nell’inchiesta). Per mesi le due bande di San Basilio e della Pisana hanno gestito lo spaccio tra la Cassia e la Camilluccia, un giro da centinaia di migliaia di euro. E fra i quartieri interessati dall’operazione dei carabinieri della compagnia Cassia, che ieri mattina hanno arrestato dieci persone (sei in carcere e tre ai domiciliari, mentre l’ultima ha l’obbligo di firma in caserma) ci sono anche Tor Bella Monaca e Montecompatri. In casa di uno degli arrestati i militari dell’Arma hanno trovato anche una pistola con munizioni. Le indagini dell’operazione Mala Suerte, che prende il nome da uno spacciatore arrestato alcuni mesi fa sulla Cassia ha rivelato che le due bande avevano una struttura e un’organizzazione diverse tra loro.
L’ORGANIZZAZIONE
Ai componenti della banda di spacciatori che agiva da San Basilio è stata contestata l’associazione a delinquere, reato che non viene contestato a quella della Pisana. Gli inquirenti spiegano che il primo gruppo aveva una struttura gerarchica, anche fra i pusher a seconda dell’importanza del cliente che rifornivano, e cambiavano con molta frequenza le schede telefoniche per non farsi intercettare. Avevano anche la capacità di assicurare dosi di cocaina a domicilio sia di giorno sia di notte. Erano organizzati con un sistema di vedette e telecamere per controllare l’arrivo delle forze dell’ordine e la cocaina veniva custodita da persone incensurate. Ma anche i custodi cambiavano con una velocità sorprendente come le schede telefoniche, proprio per evitare che venissero scoperti e assicurare la massima copertura alle partite di cocaina. I componenti della banda avevano due basi logistiche, gli incontri avvenivano poco lontano dal bar Kristal e dal bar Lory (i gestori e il personale dei locali non sono coinvolti nell’inchiesta).
L’INDAGINE
Il secondo gruppo operava da un residence della Pisana in via Pedica. L’esistenza della banda è stata scoperta all’inizio dell’anno scorso dopo l’arresto di uno spacciatore proprio in un comprensorio sulla Cassia. Allora i carabinieri scoprirono che i pusher vendevano droga pura all’85 per cento, a circa 50 euro per ogni mezzo grammo, molto di più del prezzo al dettaglio.Le indagini hanno permesso anche di accertare che a rifornirsi da entrambi i gruppi non erano soltanto i consumatori che acquistavano la cocaina per uso personale, ma (in ragione dell’elevata purezza e quindi della possibilità di tagliare ulteriormente la sostanza e poterne ricavare un quantitativo superiore) anche clienti, a loro volta spacciatori. Il più delle volte i clienti diventavano spacciatori per potere pagare proprio la droga che acquistavano.
Per gli inquirenti i due gruppi gestivano la vendita su piazza di circa tre chili di cocaina al mese con centinaia di incontri con i clienti che i carabinieri hanno documentato nel corso degli appostamenti, sia nei parcheggi dei campi sportivi sia nei centri commerciali o nei locali pubblici. Dalle intercettazioni è stato possibile ricostruire l’intera rete dello spaccio e le modalità degli incontri. In molte occasioni i pusher consegnavano la cocaina praticamente a domicilio, il cliente chiamava, ordinava la droga e spiegava dove avrebbe aspettato la consegna e in quale auto, come l’ingegnere che è andato a ritirare la dose con la Jaguar.
IL GERGO
Per non farsi capire al telefono in caso di intercettazioni, i pusher usavano un gergo particolare quando si riferivano alla cocaina. Le dosi erano chiamate «piccolini» e «grandi», il «t-max», come lo scooterone, era una superdose da cinque grammi. Ora l’indagine punta a scoprire chi erano i fornitori delle bande.
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Michela Allegri per Il Messaggero
Venivano da Tor Bella Monaca, da San Basilio, dalla Pisana. Dove la vita è diversa rispetto al mondo scintillante che, quotidianamente, rifornivano di cocaina. Tanto che, per incontrare i clienti a Roma Nord, i pusher di periferia quasi si imbellettavano. Uscivano a bordo di Mini Cooper e di Smart tirate a lucido, per raggiungere «il commercialista» e «l’ingegnere», quello che comprava più di tutti e che si presentava agli appuntamenti a bordo di una Jaguar verde full optional. È scritto nell’ordinanza d’arresto a carico di 7 persone – 4 in carcere – firmata dal gip Riccardo Amoroso. Gli indagati sono in tutto 27. Formavano tre gruppi distinti, con modi di operare diversi ricostruiti dai carabinieri e dalla pm Nadia Plastina. Gli inquirenti li hanno incastrati perché hanno tracciato un filo comune: facevano rifornimento da Marco Tocci, che con i colleghi Massimiliano Servirei, Christian Colombo – detto Cucciolo – aveva base operativa in un residence alla Pisana. Per l’accusa, i tre avevano messo in piedi un’organizzazione studiata nei dettagli, con nascondigli, schede telefoniche intestate a prestanome e una rete di pusher in grado di consegnare a domicilio a qualsiasi ora del giorno e della notte. Smerciavano tutti cocaina purissima. Talmente buona da sbancare nei quartieri della Roma bene, e da attirare gruppi variegati di avventori.
Intercettato, uno degli spacciatori si vantava con gli amici di avere agganci ai piani alti: «Una volta ho venduto a un manager della Roma che mi ha regalato i biglietti per la partita».
I CLIENTI
Tra gli acquirenti, anche un dipendente del ministero della Difesa. E una sfilza di ragazzi. Come Maradona, conosciuto insieme a tanti altri all’ex circolo sportivo Us Boreale, in viale di Tor di Quinto, ritrovo di estremisti di estrema destra dove viveva e lavorava Daniele De Santis, l’ultrà condannato per aver ucciso il tifoso napoletano Ciro Esposito. Anche il cugino dell’ispettore era un cliente fisso: un insospettabile signore distinto che, tra la Cassia e Ponte Milvio, spendeva centinaia di euro in polvere bianca. Tra gli acquirenti, pure i giovani del centro Don Orione, comunità in via della Camilluccia. E tanti professionisti. Uno di loro, prima di arrivare a bordo di un Range Rover rombante, parlava in codice dissimulando una cena di gala: «Mi serve un po’ di ginepro, devo cucinare il cinghiale». Tra gli affezionati, anche un rampollo di Roma Nord che trascorre le giornate tra centri commerciali e palestre: tutti lo conoscono come «Fisico». Una donna, chiamata «Brasil», abitava invece in un lussuoso residence. A Roma Nord, viveva anche un altro cliente, talmente raffinato da essere soprannominato «Il Sindaco», anche per l’omonimia di cognome con un primo cittadino della Capitale. C’era poi «La Bionda», che sfrecciava a bordo di un’Audi A3 e faceva rifornimento dai gruppi di periferia. Tutti i clienti erano viziati e pretenziosi. Non esitavano a lamentarsi se il servizio non era di loro gradimento. Come quando un acquirente, parlando con Mauro Malatesta – che gestiva la banda di San Basilio – gli dice che gli hanno venduto «farina». Il boss licenzia in tronco il pusher alle sue dipendenze. Poi, si scusa: «Guarda, gli ho levato tutto, pure il telefono, non lavoro con questa gente, lo sai io son serio sul lavoro», sbotta intercettato.