La Stampa, 14 settembre 2016
Quelli dell’EmGiMò, ovvero gli uomini di Putin che fanno affari con Francia e Germania ignorando Bruxelles
In Russia li chiamano «quelli dell’EmGiMò»: la casta di diplomatici, plenipotenziari e inviati del Cremlino all’estero, quasi tutti laureati alla prestigiosa Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali (Mgimo), fondata nel 1944. Che tende a vedersi al di sopra persino dei servizi segreti. Spetta a loro, dopo Brexit e la riconciliazione Putin-Erdogan, a due anni dal varo delle sanzioni, ricucire con Bruxelles in uno scenario improvvisamente stravolto, che può aprire nuovi spazi di manovra per Mosca.
Il Terzo pacchetto Energetico, il nodo dei visti, Ucraina, Siria: i dossier congelati da tempo sono tanti. L’obiettivo è sciogliere il clima da guerra fredda instauratosi dopo Crimea e Donbass. Ma il mood è cambiato, tutti concordano: non si tornerà più ai semplici affari, neanche a fine sanzioni.
Le Realpolitik
«La nostra partnership strategica ha fallito la prova degli eventi», ammette Vladimir Chizhov, rappresentante permanente russo a Bruxelles da quasi 11 anni, una rarità. «Segno che Putin si fida di lui al 150%», spiega chi lo conosce, «è un uomo capace di dire no in 15 modi diversi». Ha resistito anche allo scandalo del figlio Vasily, ex funzionario nella missione russa alla Nato, espulso nel 2009 con l’accusa di spionaggio. Stile aperto, umorismo beffardo, parola d’ordine: pragmatismo.
«Vogliamo una cooperazione bilaterale orientata ai risultati – ha detto alla vigilia di Bratislava – su temi specifici come energia, commercio e lotta al terrorismo, basata sui reciproci interessi e non sui cosiddetti valori condivisi». Insomma, «la nuova normalità nelle relazioni Russia-Ue è che non esiste più una visione comune», si legge nel rapporto stilato a giugno dalla tedesca Koerber-Foundation insieme col RIAC (Russian International Affairs Council, fondato da Medvedev nel 2010).
«Mosca è convinta che le sanzioni dureranno almeno un altro anno», spiega Konstantin von Eggert, commentatore di affari internazionali alla tv d’opposizione Dozhd. «Putin non scenderà a compromessi su Minsk. Quindi l’approccio sarà lavorare dove le sanzioni non ci sono, allargare le sfere di possibile collaborazione al fine di compensarle, renderle meno rilevanti». Classico esempio è il gasdotto Nord Stream 2 verso la Germania, avversato da molti nell’Unione. La strategia? «Diluire le resistenze, minandole gradualmente da dentro».
Londra è più vicina
Finora Mosca si è mossa finanziando partiti europei euroscettici o stringendo accordi coi Paesi più dipendenti economicamente dalla Russia (Bulgaria e Ungheria). Brexit cambia le carte in tavola. Realizzando un vecchio sogno della diplomazia sovietica: costruire relazioni separate con i singoli Stati europei, come nell’800 o a inizi ‘900. «Putin non vuole un’Europa frantumata in piccoli pezzi», dice Alexander Baunov, politologo al Moscow Carnegie Centre: rischierebbe di accentuare la deriva di alcuni membri verso Usa e Nato (Baltici e Polonia). E chiarisce: «Vuole solo un ritorno al bilateralismo vecchio stile, che renda più facile negoziare e risolvere i problemi. E Londra, la più filo-americana nella Ue, uscendo gli ha fatto un favore». Dopo gli scandali Litvinenko e la guerra di spie che hanno portato i rapporti ai minimi storici, la speranza è che i nuovi governanti britannici tengano conto dei forti interessi economici tra Regno Unito e Russia e mostrino autonomia politica cambiando posizione.
Avvicinarsi ad Ankara
Il riavvicinamento alla Turchia? Per l’esperto Eggert «è parte di un’unica strategia: quanto più si creano problemi all’Europa, tanto meglio. La politica russa è tutta qui: è importante che Usa e Unione europea siano continuamente occupate con qualche grattacapo, che li distragga da ciò che accade nello spazio post-sovietico».
Tra Parigi e Berlino
Putin è convinto che Francia e Germania decidano tutto in Europa. Le maggiori speranze oggi sono perciò riposte sul cambiamento ai vertici a Parigi. Il ritorno in campo di Sarkozy per le presidenziali 2017, apologo e vecchio amico del leader russo, è una piacevole sorpresa. Come il fallimento dei negoziati tra Ue e Usa sul Ttip.
A Berlino dal 2010 ambasciatore è Vladimir Grinin, uno dei più esperti diplomatici russi: dal 1973 al 1980 ha lavorato all’ambasciata sovietica in Germania ovest, nel 1986-1992 in Germania Est. Gli stessi anni in cui Putin era a Dresda. Ma il capo del Cremlino non ha bisogno di mediatori con la classe politica tedesca. Tra i suoi “amici” mantiene un ruolo Gerhard Schroeder. Più influenti sono i politici della Linke a sinistra, e quelli dell’Afd a destra; o il ministro degli Esteri Steinmaier che invoca una linea più morbida con Mosca. E Merkel? «Putin la stima ma non la ama. Non si aspettava un atteggiamento così duro da lei sulle sanzioni, una tale interazione con gli Usa», dice Eggert. «Pensava che il business pesasse molto di più in Germania».
Renzi? La sua presenza al Forum di Pietroburgo è stata apprezzata, ma ancor più quella di Jean-Claude Juncker. A Mosca nessuno pensa che il premier italiano sarà un secondo Berlusconi né un Viktor Orban: «Ha chiaramente ambizioni internazionali, quindi non vorrà avvicinarsi troppo a Putin, rischiando di perdere la faccia».