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 2016  settembre 14 Mercoledì calendario

Panino libero a scuola. I genitori hanno battuto il ministero

Mangiare a scuola il pasto preparato a casa è un diritto. Lo ha affermato a giugno una sentenza della Corte d’Appello di Torino, ma il ministero dell’Istruzione ha replicato subito dopo che la sentenza sarebbe stata valida solo per le 58 famiglie che avevano fatto causa. E allora sono iniziati a piovere i ricorsi di urgenza di altri genitori: se è un diritto per loro, lo è anche per noi e lo è per tutti, questa l’argomentazione. E i giudici gli hanno di nuovo dato ragione, e a nulla è valso il ricorso del Miur. La lunga battaglia giudiziaria costringe ora le scuole a organizzarsi perchè il diritto sia garantito. Ma cosa c’è da organizzare?
Ministero, scuole e amministrazione hanno usato mille argomenti per contrastare chi ha fatto ricorso: presunti divieti di portare a scuola alimenti da fuori, clausole con le ditte che appaltano le mense, norme igienico-sanitarie, pericoli per la salute dei bambini, fino ad arrivare a prospettare (l’avvocatura dello Stato) il rischio di morte per shock anafilattico per uno studente allergico che assaggi incautamente il pranzo del compagno. Ogni obiezione è stata demolita dai giudici in nome del diritto all’istruzione, perchè il tempo mensa è a tutti gli effetti un momento formativo, nessuno può esserne escluso. E non si può subordinare il diritto di stare a scuola all’adesione a un servizio a pagamento, per giunta non obbligatorio. Infatti, è sempre stato possibile non iscriversi alla mensa: solo che, finora, bisognava andare a prendere il figlio a scuola per riportarlo dopo pranzo. Adesso lo si può lasciare: con la pietanziera, con un lunchbox o con un panino. Nessuna legge parla di divieti: le ditte di ristorazione devono applicare le norme europee, ma nessuno ha il diritto controllare cosa mettono mamma e papà nella schiscetta.
Ma a scatenare il dibattito sono soprattutto questioni ideologiche. La mensa scolastica come conquista, le tariffe scaglionate sul reddito per garantire a ricchi e poveri di mangiare le stesse cose, l’importanza di un’alimentazione controllata. La polemica torna a ogni protesta che si scatena in qualche parte d’Italia, come quando a Genova i genitori hanno inscenato lo «sciopero del panino». O a Brescia, dove è stato il M5S ad appoggiare le ragioni del diritto al pasto da casa (mentre a Torino la sindaca Appendino è contraria). A fare scattare le ribellioni alla mensa sono due fattori. Uno è la qualità, spesso sotto accusa: secondo un’indagine di Coldiretti e Ixè il 20% dei genitori valuta negativamente le mense, per il 42% sono appena sufficienti. Poi c’è la questione economica. Non a caso le sentenze arrivano da Torino, che ha le mense più care d’Italia: circa 1.400 euro all’anno nella fascia di reddito più alta. Non serve essere nababbi per rientrarci: per questo i genitori che hanno fatto ricorso rifiutano l’etichetta di non essere solidali. Molte vivono in quartieri popolari e fanno salti mortali per i figli. Si dicono disposti a pagare costi aggiuntivi per aiutare chi ha di meno: ma si chiedono perché, se è questione solidale, questi debbano ricadere solo su di loro e non su tutti i cittadini: così, si penalizza solo chi ha figli. E, tra chi ha figli, solo quelli che scelgono la mensa: cioè un 30% degli studenti.