Corriere della Sera, 14 settembre 2016
Storie di medici che negano la chemioterapia
Uno dei casi più eclatanti riguarda Tullio Simoncini, radiato nel 2006 dall’Ordine dei medici di Roma perché curava il tumore con infusioni di bicarbonato di sodio. L’ex dottore continua imperterrito a esercitare in qualche parte d’Italia. Il suo nome viene sussurrato da pazienti che si allontanano dalla medicina ufficiale. Quanti sono i camici bianchi che offrono finte cure a increduli e disperati? «Non lo sappiamo perché i dati sono raccolti dai singoli Ordini provinciali, ma questi pseudo colleghi vanno puniti col massimo delle sanzioni», dice Roberta Chersevani, radiologa, presidente della Federazione nazionale Ordini dei medici (Fnomceo).
I casi più recenti
Recenti gli episodi di tre donne con cancro, giudicate guaribili con la chemioterapia, morte dopo essersi rivolte a metodi non scientifici (quello del tedesco Hamer e del connazionale Max Gerson). La più giovane — Eleonora, 18 anni — aveva una forma di leucemia guaribile otto volte su dieci. Chersevani si richiama ad una linea di inflessibilità: «Chi avvia verso strade alternative pazienti che potrebbero salvarsi con terapie efficaci non è medico. È un ciarlatano, un delinquente. Esistono imbonitori capaci di convincere i fragili, è un comportamento contrario a tutti i principi etici e deontologici che equivale all’abbandono di un ferito per strada».
L’iniziativa
Non è facile però estromettere i colpevoli. Una volta che un iscritto all’albo viene deferito agli Ordini professionali, scatta un farraginoso procedimento interno. Chi riceve la sanzione definitiva può chiedere la sospensiva a un organismo di giurisdizione formato anche da rappresentanti esterni. I lavori della «Commissione centrale esercenti le professioni sanitarie» sono fermi, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla corretta composizione. Ai pazienti Cherservani dice: «Affidarsi soltanto a centri di consolidata esperienza. La ricerca ha compiuto passi da gigante, molti tumori e malattie gravi possono essere sconfitti. Non bisogna andare da chi vende finti miracoli. Si rischia la vita. E apriremo un sito anti ciarlatani».
Gabriella Mereu: «Guarisco i tumori con l’inconscio
«Ve-le-no. Ha capito cos’è? Veleno». La dottoressa Gabriella Mereu cura la gente con le parole quindi ci tiene a scandirle bene mentre guarda negli occhi l’interlocutrice (in questo caso io). «Me l’hanno insegnato all’università che la chemioterapia è velenosa, mortale – insiste —. E così la radioterapia. La chemio causa mutazioni che portano tumori, mutazioni nelle cellule con alterazioni del... come si chiama?... genoma. Pensi che ho un’amica che stava morendo di cancro, le ho parlato, lei ha capito il meccanismo mentale che manteneva il tumore ed è guarita. Io agisco sul terreno psichico. Sblocco l’inconscio e le suggestioni che tengono in piedi la malattia».
La dottoressa saluta e abbraccia il pubblico che è venuta a sentirla, molti hanno nelle mani i suoi libri in vendita in fondo alla sala (uno da 8 l’altro da 12 euro), qualcuno si porta a casa la rivista sui fiori di Bach (7 euro) oppure un oggettino di plastica per massaggiare mente e corpo: valore apparente 50 centesimi, costo effettivo 20 euro. Altri si iscrivono a un suo seminario: 50 euro. Lei sorride a tutti, li congeda, si volta e riprende il discorso interrotto: «Stavamo dicendo: lei ha un tumore?» chiede. Tocca dirglielo: no, per fortuna. Nessun tumore, solo un po’ di curiosità, da giornalista. Gelo. «Lei scriverà quello che ho detto?». Certo. A questo punto interviene il tizio che le ha fatto da spalla per tutta la sera: «No, no, un momento: ha registrato?» Sì. «Così non va bene. La dottoressa deve parlare con i suoi pazienti, non ha tempo per lei. Arrivederci». Tutto questo a Mestre, venerdì scorso. Sala piena, pubblico che pende dalle labbra di Gabriella Mereu che, come dice il suo cognome, è di origini sarde e ha fatto carriera, diciamo così, a Cagliari. Una carriera parallela a quella ufficiale di medico chirurgo. Perché dopo le prime apparizioni in pubblico per spiegare che dalle malattie si guarisce decodificando le metafore usate per descriverle (semmai aggiungendo i fiori di Bach), l’ordine dei medici ha deciso di radiarla. E lei ha anticipato tutto con un annuncio sulla sua seguitissima pagina Facebook. Va da sé: con toni da vittima.
L’ha detto anche l’altra sera: «Sono al primo posto in classifica fra i medici perseguitati». Non abbastanza, veniva da pensare mentre raccontava che le sue parole hanno guarito malati di Sla e paralitici. Oppure mentre spiegava: «Ve lo dico io, quelli che hanno il Parkinson sono tutti depressi. Il tremore che hanno è da rabbia repressa».
Rita Brandi, seguace di Di Bella: «Ho le prove che funziona»
Nel 1999 il ministero della Salute, al termine di una sperimentazione di più di un anno, stabilì che il metodo Di Bella era inefficace. Diciassette anni dopo, ci sono ancora moltissimi pazienti che chiedono di essere curati con il cocktail di farmaci ideato dal fisiologo di origine siciliana e medici che applicano quel protocollo. Come Rita Brandi, oncologa romana, che spiega senza troppi giri di parole: «La Di Bella continua perché la chemio non guarisce».
Il malato per sottoporsi alla cura deve firmare un consenso informato. «Ho il dovere di prospettargli tutte le possibilità — spiega la dottoressa —. Se sceglie la terapia standard lo seguo nel migliore dei modi, affiancando le terapie di sostegno». Ma la maggiore parte dei suoi pazienti («circa l’80%» conferma) vanno da lei per quel metodo che ancora suscita speranze, ultima scialuppa dopo aver provato tutte le rotte della medicina convenzionale. Anche la dottoressa Brandi ha iniziato così. «Era il 1998, mia madre aveva un cancro al pancreas, diagnosi infausta, nessuna illusione chemioterapica. Corsi a Modena dal professore, lui fu chiaro, mi disse subito che non sarebbe morta di vecchiaia. Le avevano dato tre mesi di vita, visse dieci mesi, ma in condizioni decisamente migliori, meno dolori, voglia di fare, non era più una donna buttata sempre al letto».
Già questo, spiega Rita Brandi, sarebbe un successo. Ma lei è pronta a dimostrare che la multiterapia, basata sulla convinzione che si possa fermare la crescita del tumore agendo sull’ormone della crescita e la prolattina, a volte può guarire. «Posso tirare fuori le cartelle cliniche, non ho paura a confrontarmi. Dicevano che sarebbe bastato un solo caso per darle validità, ce ne sono quanti ne vogliono». È convinta che la «sperimentazione sia stata un bluff. Hanno scelto pazienti terminali, che avevano già completato l’iter tradizionale, fortemente debilitati e defedati». Ricorda quando «Di Bella mi diceva che la “chemioterapia è invasiva ed arcaica e che non ha mai guarito nessuno”. Al contrario, io ho visto morire di chemio».
Nonostante questo, assicura di non essere una «dibelliana con i paraocchi». «Bisogna essere aperti a tutto ciò che può aiutare il paziente. E purtroppo la stragrande maggioranza dei medici ha perso l’entusiasmo e la curiosità». È consapevole che le sue scelte la isolano. «All’inzio ho sofferto, essere accostata ai ciarlatani mi ha provocato turbamenti emotivi. Ma ci sono i pazienti a darti coraggio e a spingerti ad andare avanti».
Giuseppe Nacci e il metodo Gerson: «Contro il cancro bastano le piante»
«Ecco qua». Il dottor Giuseppe Nacci si china per prendere un pacco di carte fotocopiate. «Sono lavori scientifici, dati assolutamente sicuri, pubblicati. Sono specializzato in medicina nucleare e ricordo che anch’io anni fa pensavo fosse matto chi parlava di cure con le piante. Sbagliavo. Quando mia madre si è ammalata nel tentare di curarla ho incontrato un professore giapponese e ho cominciato a capire che cos’è la fitoterapia».
Da allora in poi (una quindicina di anni fa) le vitamine naturali estratte dalle piante hanno occupato un posto d’onore nella vita professionale di quest’uomo che gesticola molto, riceve in uno studio spoglio senza attrezzi medici né computer, non ha telefonino e ripete come un mantra: «È scientificamente provato». Dice che «esistono migliaia di vitamine capaci di attivare le difese immunitarie contro le cellule tumorali» e che nelle dosi giuste quelle vitamine «inducono l’apoptosi, cioè danno l’ordine di suicidio alle cellule tumorali. Lo sa — giura — che la percentuale di sopravvivenza di cinque anni per un malato di cancro è del 2% se fa la chemioterapia, del 30% se segue il metodo Gerson (basato, appunto, sulla cura ipervitaminica, ndr)?». Buono a sapersi. Peccato che i numeri risultino di fantasia e che la validità scientifica della dieta anticancro a base di vitamine non sia mai stata provata anche se sembra ormai assodato che le vitamine possano aiutare a prevenire alcuni tipi di tumori. Il passaggio che non funziona è quello fra aiuto alla prevenzione e cura vera e propria. E poi banalmente la domanda è: se è così provato, così semplice e così innocuo l’uso delle vitamine per curare il tumore perché non farne un metodo della medicina ufficiale? «Questo è un argomento di cui dovrebbe occuparsi lei, non io» risponde. «Io ho provato a seguire la mia onestà intellettuale e mi hanno fatto a pezzi. Mi hanno sospeso due volte e prima o poi mi radieranno, lo so. Quando mi hanno convocato in Procura ho spiegato a un magistrato la mia teoria e lui mi ha detto: scriva un libro, queste cose la gente le deve sapere. Mi ha dato lui stesso il titolo: diventa medico di te stesso. Incontri così mi ripagano di tutta l’ostilità che arriva da altre parti». Oggi più che esercitare la professione il dottor Nacci fa consulenze mediche: «Dal 2011 è vietato l’uso di piante fresche a scopi medici, quindi di che parliamo? Do indicazioni a chi me le chiede, soprattutto colleghi. Mostro dati e lavori. Chi vuole sapere e capire lo fa».