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 2016  settembre 14 Mercoledì calendario

La campionessa paralimpica che pensa all’eutanasia: «Arriverà l’ora quando avrò più giornate brutte che belle, ma non lo è ancora»

Rio de Janeiro Ci pensa, Marieke. «Prima vorrei godermi altri momenti belli della vita». Una larga parte di questa è stata dedicata allo sport. «La cosa più bella per me». Ha una malattia degenerativa che poco dopo l’adolescenza l’ha portata a usare una carrozzina e le provoca dolori sempre più forti. È una degli oltre 4.300 fra atlete e atleti della Paralimpiade, che hanno fatto diventare Rio de Janeiro per 11 giorni la capitale della disabilità del mondo. Quella brasiliana sarà la sua ultima e l’ha conclusa con una medaglia d’argento, nei 400 metri in carrozzina. «Ora devo pensare ad altro, ci sono ancora tante cose belle da fare. Mi piacerebbe provare il volo acrobatico e il paracadutismo, volare su un jet F16, aprire un museo, competere in una gara di rally. Ma la lista non finisce qui». Però ci pensa. Non ora. Non domani e neanche dopo. Ma ci pensa. Marieke Vervoort, 37 anni, campionessa paralimpica belga, poco prima dei Giochi era citata sui siti e in molti giornali di ogni parte del mondo: «Dopo la Paralimpiade, l’eutanasia». Un’esagerazione. Che lei a Rio ha voluto smentire. Nei tempi, però. Non sull’idea. «Non ho più paura della morte. Quella assistita è simile a un’operazione: si va a dormire, ma non ci sveglia. Una cosa pacifica. E io non voglio soffrire quando morirò». Lo raccontò in una intervista. Il giorno dopo piovvero quei titoli. «Non sapevo se ridere o piangere». La verità è che comunque in un futuro, lontano forse, questo accadrà. «Era il 2008 quando ho firmato per l’eutanasia se le mie condizioni fossero peggiorate. Ma, vedete? È il 2016 e ho vinto una medaglia alla Paralimpiade». Vuole educare su cosa sia: «Aiuta a vivere. Quando si firmano le carte, non significa che si morirà dopo due settimane. Arriverà l’ora quando avrò più giornate brutte che belle, ma non lo è ancora». È buddista e segue la filosofia zen. «Ogni anno però è peggio. Mi manca qualcosa che avevo».
In Belgio, l’eutanasia è legale dal 2002. Si può praticare con l’approvazione scritta da parte di tre medici. Il medico che la esegue deve assicurarsi che la persona, ovviamente maggiorenne, sia in grado di intendere e di volere. Il medico deve anche verificare che la malattia sia incurabile e provochi una «sofferenza fisica o psichica costante e insopportabile».
Aveva 15 anni quando le venne diagnosticata una rara malattia muscolare progressiva che l’ha anche portata alla paraplegia. Lo sport è stata una bella medicina per stare aggrappata alla vita. Il suo motto è «Credici, è possibile». Ricalca uno degli slogan di questa Paralimpiade: «Yes, you can!», Sì, tu puoi! Ha praticato atletica in carrozzina e triathlon. «Lo sport mi ha dato gioia di vivere. L’ho ancora». È diventata una della più brave del mondo. Arrivata a Rio con sofferenza. I primi due giorni è stata in ospedale. Per gareggiare ha dovuto prendere morfina. Non si è allenata come voleva, all’inizio dell’anno è stata operata alla vescica. A Londra 2012 vinse l’oro nei 100 metri e l’argento nei 200.
Durante la Cerimonia di apertura al Maracanà, lo stadio culto del calcio mondiale, ha pianto: «Questa volta voglio spingere le braccia fuori dal corpo». Intanto ha chiuso la sua carriera paralimpica con una medaglia d’argento.