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 2016  settembre 13 Martedì calendario

In Italia non ci sono né troppe banche né troppe filiali

Il tema della dimensione delle banche italiane e della necessità di ulteriore concentrazione è uscito ancora una volta, con la solita superficiale approssimazione, nel dibattito pubblico. Non stupisce sentire i politici lanciare le solite suggestioni sulle troppe banche, le troppe poltrone e i troppi bancari, naturalmente senza alcun corredo di numeri. Stupisce ascoltare presidenti di banche importanti ripetere la storiella per cui basta ingrandire le aziende di credito per ridurre l’incidenza dei costi fissi. Ma è vero che le banche, i bancari e gli sportelli italiani sono troppi? E se sì, rispetto a che cosa? Qual è il benchmark corretto?
Se si guardano i numeri forniti dall’Unione Europea ci si rende conto per prima cosa che non ha senso parlare di media del continente. La Grecia, la Lettonia e il Regno Unito hanno qualche differenza fra loro, non solo per la lingua o la latitudine. Utilizzando semplici metodologie di analisi statistica, si possono individuare almeno tre gruppi distinti fra loro e sufficientemente omogenei al loro interno: l’Europa Latina, quella Mitteleuropea, la Nuova Europa che si trova a est dell’Italia. Nella prima le banche sono più grandi e con reti più articolate, nella seconda sono più concentrate, nella terza sono meno capillari ma servono un territorio a minore intensità demografica ed economica. Un’analisi che tenesse conto di questa articolazione sarebbe molto più interessante, ma già il raffronto fra l’Italia e l’Europa nel suo insieme rivela cose molto diverse dalla vulgata predominante.
Quelli che seguono sono i numeri che, in breve, forniscono il parallelo fra l’Italia e la media dell’Unione. In Italia vi è una banca ogni 85 mila abitanti, contro le 65 mila della media europea, e ogni banca ha 46 filiali, in confronto alle 28 del continente. Se ci si fermasse a questi primi tratti morfologici avrebbe ragione chi giudica ridondante il sistema. Ma non ci si può fermare ai soli dati demografici, perché trattandosi di aziende che offrono servizi a una popolazione di famiglie e imprese, occorre considerare anche la domanda di servizi bancari. E allora si nota che in Italia ogni banca serve 1,8 miliardi di pil contro 1,3 della media europea; ogni filiale serve 40 milioni di pil, 778 famiglie e 113 imprese, mentre la media è di 45 milioni di pil, 980 famiglie e 93 imprese.
Nel confronto con l’Unione, emerge dunque come l’Italia abbia un elevato numero di abitanti per ogni banca e, al tempo stesso, ogni banca serva una quota di Pil inferiore alla media. Tuttavia l’intensità finanziaria nazionale non raggiunge quella dei Paesi più avanzati e le banche presentano reti distributive più estese che nel resto d’Europa. Anche le imprese e le famiglie sono più numerose rispetto alle banche e quindi il numero dei clienti serviti dalle singole filiali, famiglie e imprese insieme, supera il dato continentale e si avvicina perfino a quello della Nuova Europa. Viene così smentito il luogo comune che vorrebbe il sistema bancario italiano pletorico in termini di filiali, poiché questo confronto viene di solito fatto su variabili di scala anagrafiche o economiche, come il pil, che non riescono a cogliere l’effettiva stratificazione e granularità della domanda. Dunque è evidente che il sistema bancario italiano è dotato di un maggior numero di filiali perché deve servire un maggior numero di clienti. In questa prospettiva la struttura del sistema bancario italiano deve giudicarsi equilibrata rispetto al contesto di riferimento, anche se comporta il sostenimento di maggiori costi operativi.
Un altro luogo comune è quello che vuole il sistema bancario italiano poco concentrato dal punto di vista della struttura dimensionale. In realtà il sistema nazionale è quello che, sia rispetto alla media continentale sia rispetto ai tre cluster precedentemente identificati, presenta la minore quota di mercato delle banche piccole (0,7% contro per esempio il 5% della Mitteleuropa) e, viceversa, la maggiore presenza di attivi appartenenti alle banche maggiori (66,2% contro il 33,5% dell’Europa Latina e il 63,3% della Mitteleuropa). Certo, se si guarda ai dati sulla concentrazione si nota come l’Italia sia posizionata nei livelli inferiori sia di indice di Herfindhal sia di quota cumulata delle prime cinque istituzioni creditizie, ma questi indicatori risentono troppo della dimensione anagrafica ed economica del sistema di appartenenza e infatti è vero che l’Italia risulta quintultima, ma davanti alla Germania e allineata al Regno Unito e alla Francia, cioè alle economie con cui la comparazione è più significativa. E che si dirà quando, fra pochi mesi, il grado di concentrazione, misurato correttamente sui gruppi bancari, registrerà un’enorme impennata per effetto dell’aggregazione di oltre 400 Bcc in uno (o due) soggetti?