ItaliaOggi, 13 settembre 2016
Italia Unica è costata 4 milioni. La scommessa persa di Passera, Montezemolo e Della Valle
Assai costosi per i promotori che avevano fatto le cose in grande quasi sicuri di raggiungere innanzi tutto l’obiettivo della conquista del Comune di Milano, città a suo tempo tappezzata dei manifesti con l’immagine di Passera. Speranze liquefatte come neve al sole perché Silvio Berlusconi non ha accettato il fatto compiuto e il suo successore ha voluto sceglierlo lui.
L’ex di Banca Intesa ed ex superministro del governo Monti, che peraltro è un banchiere di prima grandezza, giace ora tra i politici mancati. È in buona compagnia ma chissà se questo lo consola. Ha licenziato il team, gli esperti di comunicazione, i portavoce. Ha salutato i fans irriducibili in un’assemblea: «Le cause di quanto è accaduto? Forse non era il tempo giusto per una proposta incentrata su programmi di cambiamento profondo e, forse, la scorciatoia populista ha oggi presa maggiore rispetto al ragionamento. Non siamo riusciti ad essere popolari senza essere populisti: come altro si potrebbe definire se non ’popolare’ il nostro programma di aiuti alle famiglie con figli, di lotta alla povertà, di un Terzo Settore più forte o di dimezzamento delle tasse per le aziende che investono e assumono o di azzeramento delle penali per i cittadini e le imprese oneste ma incolpevolmente morose con il fisco?».
Adesso, da incompreso in politica, si dice pronto a tornare alla finanza, punta a Montepaschi. «Far confluire Italia Unica in un partito esistente o in un altro movimento? Sarebbe una forzatura appunto perché siamo stati e siamo «unici». Ci sono certo persone e movimenti che sentiamo vicini e verso i quali abbiamo mostrato simpatia, ma convergere sarà una scelta di ciascuno e non una operazione a tavolino. Io personalmente voglio continuare ad essere utile al mio Paese come so di esserlo stato da manager, da imprenditore, da servitore dello Stato e anche da presidente di Italia Unica. Non sono ancora sicuro di quello che farò, ma la proposta che ho presentato per rilanciare il Monte dei Paschi va in questa direzione».
Quindi Passera non ha passato il testimone a nessuno anche se un po’ dell’eredità è andata a Gaetano Quagliariello, il grande deluso, che dopo Forza Italia, Pdl e Ncd aveva puntato sul nuovo movimento. I due si ritroveranno nei Comitati per il No, che Quagliariello sta tentando di organizzare. A piedi, si fa per dire, sono rimasti i Passera boys: Lelio Alfonso, che era il coordinatore nazionale della creatura passeriana, prodiano della prima ora poi sul carro di Mario Monti, un passato a Rcs (relazioni istituzionali), Aniello Aliberti, imprenditore di apparecchiature radiologiche ed esponente di Confindustria, Domenico Pannoli, avvocato che da Italia Futura (Luca di Montezemolo) era passato a Italia Unica, Luca Bolognini, presidente dell’Istituto italiano per la privacy, Fabio Evangelisti, ex-deputato Pds (due legislature) e Italia dei valori (una legislatura), Silvana Mura (altra ex-parlamentare Idv), Francesco Micheli, ex-Intesa San Paolo ed ex-Abi (associazione bancaria), Marco Follini, ex-Dc, Udc e Pd, vicepresidente del Consiglio ai tempi del secondo governo Berlusconi, ora presidente dell’Apt (l’associazione produttori televisivi), Alessandro Garassini, ex- presidente della Provincia di Savona con un’alleanza di centro-destra (disse, iscrivendosi a Italia Unica: «il bipartitismo Partito Democratico-Forza Italia è ormai trasformato in regime a partito unico contro cui è necessario resistere, resistere, resistere»). E tanti altri (Italia Unica ha dichiarato 6 mila iscritti, 150 sezioni e un centinaio di amministratori in Comuni e Regioni) che avevano abbracciato il progetto del banchiere-politico.
A cominciare dalla sua compagna, Giovanna Salza, messa a capo della comunicazione e il cui ultimo compito è stato diffondere il de profundis del fondatore: «Ribadito il no alla riforma del Senato e riaffermato il decalogo di proposte per il rilancio del Paese, Italia Unica esce dalla scena come movimento politico e invita i suoi iscritti e sostenitori a continuare nell’impegno per un Paese migliore, tenendo alte le bandiere che ne hanno caratterizzato i suoi due anni di attività: sviluppo per creare lavoro, solidarietà per ridurre il disagio delle famiglie, rafforzamento delle istituzioni democratiche».
Come sia difficile e complessa la politica lo ha sperimentato anche Luca Cordero di Montezemolo, pure lui allettato e poi ritiratosi. Si sta consolando con Alitalia e tante altre cose ma un pensierino a Palazzo Chigi, credendo che Berlusconi si sarebbe ritirato, lo aveva fatto e il veicolo per arrivarci era Italia Futura, fondata nel 2009 come un’associazione di studi da radicarsi sul territorio in vista della trasformazione in braccio politico. Montezemolo, a differenza di Passera, non s’è mai buttato, temendo che la piscina fosse vuota (di voti) e dopo anni di tormentone (si candida, non si candida) nel 2014 ha scelto di chiudere e ha consegnato la sua creatura in crisi a Carlo Pontecorvo, presidente del gruppo Ferrarelle, ma le bollicine non sono riuscite (finora) a fare il miracolo di rivitalizzare l’esanime organizzazione, così lasciata da Montezemolo: «Per me questa avvincente esperienza è finita e passo volentieri il testimone a Carlo Pontecorvo, che raccoglierà l’eredità riformista e liberale del nostro think tank, mettendola a disposizione di quanti vogliono sostenere attivamente un cambiamento impegnandosi a tirar fuori l’Italia da una crisi politica, economica, culturale senza precedenti».
Anche i Montezemolo boys si sono dispersi, una parte considerevole s’è accasata con Matteo Renzi. Il gruppo di comando era composto da Andrea Romano, ex-dalemiano che adesso è stato appena nominato condirettore dell’Unità, Nicola Rossi, ex-parlamentare Pd, Marco Simoni, ex-veltroniano., Stefano Miceli, docente a Venezia. Migel Gotor, docente a Torino, Angelo Mellone, dirigente di RadioRai, Nicolais Stancanelli, consigliere della Presidenza del consiglio ed ex-Protezione civile con Guido Bertolaso, Giulia Innocenzi, nell’équipe televisiva di Michele Santoro, iscritta al partito radicale, soprattutto Carlo Calenda, cresciuto professionalmente e politicamente all’ombra di Montezemolo, di cui era collaboratore quando lui era a capo di Confindustria e ora ministro dello Sviluppo economico. E ancora Irene Tinagli, deputato di scelta Civica passato poi a Italia Futura e quindi al Pd, che dice: «Se Montezemolo si fosse candidato forse sarebbero cambiate molte cose... Certo è che ora Renzi ha fatto proprie molte delle idee e proposte di Scelta Civica e di Italia Futura. Abbiamo passato l’ultimo anno a lavorare con Renzi, a difendere le proposte di Pietro Ichino riprese nel Jobs act, arginando le minoranze del Pd. Renzi si è appropriato del nostro programma...».
Un fuggi-fuggi e Pontecorvo sembra urlare al vento: «C’è una sfida da raccogliere, c’è una visione dell’Italia da proporre. È finito il tempo dei pensatoi, la politica attiva è l’unica via per vere riforme. La nostra associazione sposò la proposta di Mario Monti contribuendo alla nascita di Scelta Civica. Avevamo visto nell’operato dell’allora presidente del consiglio un buon esempio per uscire dalla crisi e rilanciare il Paese. Purtroppo il suo impegno non è bastato, né è stata sufficiente la scossa data all’economia. La nuova Italia Futura dovrà aggregare e sostenere una nuova classe dirigente, mettendo a disposizione del Paese le tante competenze ed esperienze».
Infine, Diego Della Valle, che sembrava aver aperto un suo fronte politico fondando Noi Italiani, ha poi frenato bruscamente dopo aver fiutato che l’aria non era propizia per gli exploit ai quali, in altri settori, Della Valle è abituato. L’annuncio della sua creatura, un anno fa, era stato questo: «Non è un partito politico –spiegò della Valle- ma un’associazione che deve stimolare tutti quanti quelli che hanno voglia di fare il bene del Paese». Ma simbolo, struttura e auspicato radicamento sul territorio avevano tutt’altre ambizioni. Così come le prime mosse: Della Valle si recò a sostenere l’amico Clemente Mastella candidato sindaco a Benevento. Altri compagni di viaggio erano Luigi Abete, Malagò, Santo Versace e Daniela Santanché, che disse: «Diego è un amico, a lui mi lega un’amicizia personale. Sarei molto contenta se decidesse di scendere in campo in un momento difficile per contrastare in tutti i modi il mono-pensiero di Renzi».
Adesso, però, sono tutti allineati e coperti. Nessuno dice io c’ero perché anche il movimento è sprofondato nelle sabbie mobili di un paese che rifiuta il nuovo comunque esso è declinato e preferisce i vecchi partiti anche quando essi sono (o sembrano) da tutti vilipesi. Insomma è più facile fare i banchieri, guidare l’Alitalia, produrre fashion che capeggiare un partito politico.