Il Messaggero, 13 settembre 2016
Kevin Kwan parla dei giovani miliardari viziati che viaggiano tra Londra, Hong Kong e Shanghai. In un libro e in quest’intervista
Cos’è cambiato tra la Singapore di suo nonno e quella di oggi? La generazione che oggi ha tra i sessanta e i settanta anni ha realizzato a Singapore un esperimento unico e, si può dire, una rivoluzione. Era quella parte di popolazione che, educata all’estero, è tornata in Patria ed è stata capace di riproporre quanto aveva imparato. Singapore è un’isola piccola e se vuoi cambiare le cose puoi farlo. Il problema è che i nipoti di quella élite non vogliono più vivere a Singapore. O comunque non vogliono più vivere soltanto lì. Io me ne sono andato a 11 anni e sono cresciuto negli Stati Uniti. Per me sarebbe davvero difficile lasciare New York».
E dunque che ne sarà di Singapore?
«Non vivo lì e non sarei in grado di fare previsioni. Credo che in generale tutta quella parte dell’Asia avrà una evoluzione comune, influenzata dal fatto che le nuove generazioni non hanno l’etica del lavoro dei loro padri e nonni. Quelle generazioni vivevano per lavorare e risparmiare, non spendevano soldi nemmeno per il parcheggio. I loro nipoti invece vogliono godersi il denaro».
E cosa succederà allora?
«È l’argomento del mio terzo romanzo Rich people problems, in cui affronto il tema di cosa succede quando la vecchia generazione sparisce dalla scena».
Gli asian crazy rich kids sono un mercato molto importante, soprattutto per il lusso made in Italy. Ma non solo, credo. Insieme alla passione per i vestiti cresce anche l’interesse per la cultura?
«Sicuramente sì. All’inizio volevano solo brand. Poi gradualmente c’è stata un’escalation e oggi tutto il life style è oggetto di interesse: l’arredamento, le vacanze, il cibo. Non è ancora un interesse di massa ma tra Singapore e Hong Kong conosco molta gente che è appassionata di arte moderna, per esempio. Fanno parte di quel global wealth club, quel circolo di ricchi globali, che si conosce, si frequenta ed essendo comunità vuole collezionare le stesse cose, esibire gli stessi artisti come trofei. Non è un caso che Christie’s e Sotheby’s si stiano spostando a Est».
Ma se abbiamo appena detto che gli asian rich kids in Asia poi non vogliono viverci?
«Terranno sempre una base a Singapore, tornano per i matrimoni e i funerali. Poi certo preferiscono vivere a L.A. o a Sidney dove il tempo è molto meno umido. Mia madre è una donna tradizionale ma oggi anche lei preferisce vivere negli Stati Uniti. Mi dice sempre: A Singapore dovrei mettermi le perle anche per andare al supermercato».
Lei è diventato il cantore di un mondo che nessuno aveva ancora descritto con humour. Come l’hanno presa a Singapore?
«In Asia il libro è stato davvero molto amato. È stato il primo tentativo di satira, una commedia, ma anche una satira sociale. Credo si siano sentiti lusingati di essere parte di un romanzo: non avevo l’obiettivo di insegnare niente, volevo soltanto intrattenere la gente. E molte giovani donne si sono identificate nel personaggio di Astrid. La producer che è stata a Singapore per i sopralluoghi in vista del film che sarà tratto dal libro ha contato almeno undici ricche ragazze locali che le hanno sussurrato: Astrid sono io».
Chi sarà il regista?
«Jon Murray Chu, uno dei piu famosi registi di Hollywood e sarà la prima grande produzione ispirata alla cultura asiatica del momento. D’altra parte la Cina è molto presente nel mondo del cinema; AMC è cinese e anche Fox e Paramount fanno affari con le produzioni cinesi. Per il cinema la Cina oggi è il più importante box office nel mondo. Sarà interessante vedere cosa succederà in futuro».