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 2016  settembre 13 Martedì calendario

Il Provincellum, la visibilità dei candidati e il rapporto diretto che si stabilisce tra eletti ed elettori

Candidature plurime e capilista bloccati sono tra gli aspetti più criticati dell’Italicum. A dire il vero sono anche quelli meno compresi, insieme al ballottaggio. Ma non è il caso di soffermarsi qui sui loro meriti. Lo spirito del tempo vuole che si cambino e forse a questo punto lo vuole anche il premier. L’idea che circola in questi giorni è quella di sostituire l’attuale sistema di selezione dei candidati, basato su capilista bloccati e voto di preferenza, con un sistema imperniato su collegi uninominali. Non quelli classici in cui chi vince in un turno solo o in due turni prende il seggio e rappresenta il collegio. Questi erano i collegi della legge Mattarella con cui si è votato tra il 1994 e il 2001. Quelli di cui si parla ora, dentro e fuori il Pd, sono i collegi che si usavano una volta per l’elezione dei consiglieri provinciali. Da qui il termine “provincellum”. Tra gli altri ne hanno discusso nei giorni scorsi con cognizione di causa Dario Parrini e Michele Nicoletti, entrambi deputati del Pd.
I collegi classici hanno due funzioni. Servono a distribuire i seggi tra i partiti e a selezionare i candidati. I “collegi provinciali” servono solo a decidere chi tra i candidati di un certo partito sarà eletto. Nell’eventuale versione “provincializzata” dell’Italicum i seggi ai partiti verrebbero comunque assegnati attraverso una formula proporzionale, corretta dal binomio premio di maggioranza-ballottaggio. Cambierebbe solo la procedura per la selezione dei candidati. Nell’Italicum attuale il primo seggio ottenuto da un dato partito in un dato collegio plurinominale va al capolista e gli eventuali altri seggi ottenuti nello stesso collegio vanno ai candidati con più preferenze. Il nuovo Italicum invece funzionerebbe in modo che tutti i seggi vadano ai candidati scelti dagli elettori.
I collegi non sarebbero più 100 come ora, ma 618. Sarebbero quindi molto più piccoli. Il territorio nazionale verrebbe diviso in tanti collegi uninominali quanti sono i seggi da assegnare (gli altri 12 seggi della Camera vengono assegnati nella circoscrizione estero). Ciascun partito presenta un solo candidato in ogni collegio. Per questo si parla di collegi uninominali. Con la stessa procedura attuale, o procedura simile, vengono prima distribuiti a livello nazionale i 618 seggi in palio in base alle percentuali di voto ottenute dai vari partiti. Successivamente i seggi spettanti a ciascun partito sono ripartiti nelle varie circoscrizioni. È in questa fase che entrano in gioco i collegi. Per esempio, se un partito ha diritto a cinque seggi in una data circoscrizione si compila una graduatoria delle percentuali di voto dei suoi candidati in tutti i collegi della circoscrizione. I cinque seggi vanno ai cinque candidati con le percentuali più alte. Le stesse graduatorie vengono fatte per tutti i partiti. In questo modo sono assegnati tutti i seggi della circoscrizione. Le graduatorie possono essere fatte sulla base di percentuali calcolate sui voti validi oppure sugli aventi diritto. Nel secondo caso si tiene conto del fattore-astensionismo. Nel primo caso no. Scelta politicamente delicata.
Con un sistema simile si eliminerebbero in un colpo solo capilista bloccati e voto di preferenza. Resterebbe comunque il problema di chi decide quali candidati presentare nei collegi. Ma questa è questione che non riguarda direttamente il sistema elettorale ma la democrazia interna ai partiti. Sono i partiti a designare i candidati, a meno che non facciano ricorso alle primarie.
Ma quali sono i vantaggi dei collegi provinciali rispetto all’attuale Italicum? Il primo, e più importante, è la visibilità dei candidati e il rapporto diretto che si stabilisce tra candidati, eletti ed elettori. In ciascun collegio ciascun partito si presenta con la faccia del suo candidato. Candidato e partito coincidono. Come ai tempi della Mattarella. Il candidato raccoglie i voti per il partito e per sé. Più voti raccolgono i candidati più sono i seggi che vanno al partito. Più voti prendono i singoli candidati più possibilità hanno di essere eletti. A differenza degli attuali collegi, i nuovi sarebbero più piccoli – circa 100mila elettori- e quindi le campagne elettorali sarebbero più semplici e meno costose. Per gli elettori sarebbe più facile conoscere e valutare i candidati e di conseguenza i partiti avrebbero un incentivo a presentare candidati competitivi. Un vantaggio addizionale, e non trascurabile, è che un sistema simile elimina la competizione tra i candidati dello stesso partito, che invece è un elemento deteriore legato al voto di preferenza.
Ma ci sono anche i difetti. Il più grave è che alla fine dei conteggi ci possono essere, e ci saranno, alcuni collegi in cui i candidati eletti sono più di uno e collegi senza alcun rappresentante. Infatti, è possibile che in un dato collegio venga eletto, per esempio, il candidato del Pd insieme al candidato del M5s. Al contrario, è possibile che in un altro collegio nessun candidato di nessun partito abbia una posizione in graduatoria tale da ottenere il seggio. Il problema può essere limitato con alcuni accorgimenti tecnici, ma non può essere del tutto eliminato.
I sistemi elettorali sono strumenti imperfetti. Si tratta di scegliere quale imperfezione dispiace di meno. A chi non piacciono candidature plurime e capilista bloccati dovrebbe piacere un sistema in cui sono gli elettori a scegliere inequivocabilmente tutti gli eletti e non solo una parte. Ma temiamo che questa modifica dell’Italicum, che si può fare senza snaturarlo, non sia sufficiente per superare l’opposizione di chi vede nella demonizzazione di questo sistema elettorale lo strumento per opporsi anche alla riforma costituzionale. Vedremo cosa ne pensa il premier.