Corriere della Sera, 13 settembre 2016
Dagli attacchi di panico di Lincoln ai 36 ricoveri di Jfk, passando per l’Alzheimer di Reagan. Così la malattia è entrata alla Casa Bianca
Nel 1980 l’America è in piena campagna elettorale. Deve scegliere tra il presidente uscente, il democratico Jimmy Carter, e l’eterno candidato repubblicano alla presidenza (è al suo terzo tentativo), l’ex attore ed ex governatore della California Ronald Reagan. Reagan è il candidato più anziano della storia, compirà 70 anni pochi giorni dopo l’ingresso alla Casa Bianca. È un uomo vigoroso, un cowboy che nel suo ranch spacca legna e va a cavallo tutti i giorni, ma sulla sua età è polemica, quattro anni di presidenza, non diciamo otto, sono debilitanti per chiunque. Onde rassicurare gli elettori Reagan assume pertanto una iniziativa senza precedenti: rende pubblica la propria cartella clinica e s’impegna a dimettersi in caso di grave malattia. Come è umano non lo farà, anche se nel secondo mandato denuncerà i primi sintomi del male che più tardi lo ucciderà, l’Alzheimer.
L’America lo applaude, non ha dimenticato il trauma di otto anni prima, in cui il candidato democratico alla vicepresidenza, il senatore Thomas Eagleton, è stato costretto a ritirarsi per avere nascosto di soffrire di disturbi mentali. L’iniziativa di Reagan cambierà la politica americana, introdurrà nelle elezioni il «fattore salute» (psichica e fisica) dei candidati. Da quel giorno, l’America esigerà un presidente o una presidentessa sani e forti, e chiederà di conoscerne la cartella clinica. Per questo, l’odierno panorama elettorale rischia di essere sconvolto dai dubbi emersi sulla salute sia di Hillary Clinton sia di Donald Trump, che se venisse eletto entrerebbe alla Casa Bianca a un’età di qualche mese più avanzata di quella di Reagan.
Panico e depressione
Ma prima di quel 1980, cosa sapeva l’America della salute dei candidati alla presidenza? Praticamente nulla. Si apprendeva solo a posteriori dei malanni di questo o quell’inquilino della Casa Bianca, e mai di tutti. Dai padri fondatori ad Abraham Lincoln, che pativa di attacchi di panico e profonde depressioni, l’argomento salute era tabù. È appena dall’inizio dello scorso secolo che in America gli storici ne trattano apertamente, con una conclusione sorprendente: che nella maggior parte dei casi le malattie non resero pessimi i presidenti, ma li temprarono per il lavoro più faticoso al mondo.
Le due valigette
L’icona dei democratici, John Kennedy, e quella dei repubblicani, Reagan, viaggiavano sempre con la valigetta dei medicinali oltre che con il «football», la valigetta con la chiavetta atomica. Il giovane John Kennedy, l’artefice delle nuove frontiere e della conquista della luna, fu forse il presidente più afflitto da malattie di ogni tipo che si ricordi, ricoverato in ospedale trentasei volte, tre delle quali in pericolo di vita. Si racconta che nella vittoriosa campagna elettorale del 1960 temette non che il suo cattolicesimo, eresia in un’America ultra protestante, bensì i suoi trascorsi medici gli costassero la presidenza. Un giorno che perse di vista la valigetta dei medicinali scatenò i suoi uomini alla sua caccia: «Se i nostri avversari ci mettono sopra le mani sarò politicamente assassinato». Le malattie, gli antispasmodici, i tranquillanti e gli altri farmaci non impedirono tuttavia a Kennedy di promuovere riforme quali i diritti civili, o di dialogare con l’Urss, tanto meno di soddisfare i suoi appetiti sessuali, anch’essi tenuti accuratamente nascosti.
Il segreto e i medici
Non è casuale che il più grande presidente americano del Novecento fu Franklin Roosevelt, il vincitore della Grande Depressione degli anni Trenta e della Seconda guerra mondiale, immobilizzato sulla sedia a rotelle dalla poliomielite. Il suo male diventò di pubblico dominio nel 1924, quando si presentò al Congresso del partito democratico in stampelle, ma non ne ostacolò l’ascesa. L’America era disastrata, i suoi valori non erano quelli materiali. Roosevelt fu eletto quattro volte, l’ultima nel 1944: i medici sapevano che era ormai prossimo alla morte, ma lo ritenevano indispensabile. I loro predecessori alla Casa Bianca si erano comportati allo stesso modo con Woodrow Wilson nel 1919: un altro democratico, era rimasto incapacitato da un infarto, ma mantennero il segreto.
Jonathan Davidson, storico della Duke University, ha esaminato le cartelle cliniche di tutti i presidenti americani fino a Carter e ha scoperto che una decina di essi furono di salute assai malferma: la depressione è stato il male più diffuso e ne soffrirono in particolare Wilson e il suo successore, il repubblicano Calvin Coolidge. Un altro storico, il compianto Arthur Schlesinger Jr, non nascose di giudicare instabile Lyndon Johnson, il successore di Kennedy, e attribuì alla sua instabilità l’escalation della guerra del Vietnam.
Raramente nella storia americana è trapelato che un presidente fosse in precarie condizioni di salute, ma quando è accaduto non ha impedito che fosse rieletto. L’elezione di Clinton o Trump dipenderà in parte da come gestiranno il «fattore salute». Hanno un esempio da seguire, quello del senatore repubblicano John McCain, l’avversario di Obama nel 2008. Eroe del conflitto vietnamita, fu prigioniero per cinque anni e sottoposto a torture fisiche e mentali. Nel 2008 l’America si chiese se fosse idoneo al comando e McCain dimostrò di sì con il suo equilibrio e con la sua franchezza di politico e soldato. Fu sconfitto perché dopo Bush Jr l’America volle un drastico cambiamento, di cui divenne il simbolo il suo primo presidente nero.