la Repubblica, 13 settembre 2016
Il 18 ottobre Renzi andrà a cena con Obama. Alla Casa Bianca
Pochi e selezionati ospiti, regola che vale ancor più per le rarissime “cene di Stato”. E così, l’invito confermato ieri da Barack Obama a Matteo Renzi e alla moglie Agnese per il 18 ottobre alla Casa Bianca acquista tutto un suo peso politico, oltre che simbolico, al di là del commiato.
Non solo perché il ricevimento cade a tre settimane dalle presidenziali che segneranno l’epilogo degli otto anni di Obama da Comandante in capo (resterà in carica fino all’insediamento di gennaio), ma anche perché negli ultimi vent’anni di cene di Stato per i premier italiani se ne sono contate giusto un paio.
Agli annali e agli archivi fotografici restano impressi gli elegantissimi Romano e Flavia Prodi immortalati all’ingresso della
White House la sera del 6 maggio 1998, al fianco di Bill e Hillary Clinton. E un sorridente Silvio Berlusconi (già non affiancato dall’allora moglie Veronica) il 15 dicembre 2004 per una cena di gala organizzata da George e Laura Bush. Ma tra i due, è noto, c’era una consuetudine di rapporti che avrebbe portato il Cavaliere a varcare in privato anche il ranch della famiglia di petrolieri texani. Era, politicamente, un secolo fa. L’attuale presidente americano ha voluto ricevere solo una volta (e non a cena) Berlusconi, come poi Monti e Letta. Il
dinner del mese prossimo suggellerà qualcosa in più del feeling conclamato con Matteo Renzi.
«Occasione tutt’altro che rituale, fortemente voluta – spiega Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri – Un segnale di attenzione ma anche di apprezzamento della leadership italiana. Forse anche l’auspicio, per un Obama a fine mandato: che Renzi invece continui il suo percorso, perché all’Europa e agli Stati Uniti serve un’Italia forte, che proceda nel percorso delle riforme».
Tra i due, il gioco di sponda in questi due anni è stato costante. Un forte sostegno è stato assicurato da Obama soprattutto in chiave flessibilità e crescita, in contrapposizione alle politiche del rigore e dell’austerità volute dal Nord Europa. Tanto più dopo il trauma Brexit. Ma anche le riforme maturate sotto la presidenza della Repubblica Napolitano – altro punto di riferimento italiano assai solido per la presidenza Obama – hanno incontrato pieno endorsement dell’amministrazione di Washington. Ecco perché quella cena, a un mese o poco più dal referendum costituzionale, è salutata con una certa soddisfazione da Palazzo Chigi. Appena pochi giorni fa, nel suo discorso di apertura del G20 ad Hangzhou in Cina, il presidente Usa aveva citato il premier italiano e il suo processo di riforme come esempio di «buon lavoro di governo». Ma già nel primo incontro tra i due a Washington, il 17 aprile 2015, Obama si era detto «impressionato dall’energia di Renzi, dalla sua volontà di sfidare lo status quo». Il capo di governo italiano gli chiese di poter utilizzare il brand Jobs Act e portò del vino italiano in dono. Quel clima va avanti da trenta mesi.
Dall’Italia però il presidente statunitense si attende anche un impegno diretto sullo scenario ora più caldo, il fronte anti Is in Libia. Sarà il dossier forse più delicato sul tavolo del 18 ottobre. Ieri la notizia che l’Italia invierà a Misurata 100 medici e 200 parà a loro supporto per curare soldati libici. Mentre le basi italiane sono già a disposizione dei caccia Usa.