Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 11 Domenica calendario

Nella babele dell’Italia gastronomica

Si parte dall’Artusi, dal classico ricettario, vera storia culinaria del nostro paese, e dal suo proposito di procedere – attraverso le ricette – all’unità linguistica dopo quella politica. Ma l’ambizioso proposito si smarrisce dentro la sterminata babele dell’Italia gastronomica, dove proliferano i geosinonimi, le tante parole che moltiplicano i loro significati a seconda della localizzazione. E così alice, acetosa, prugna, zampetta,croissant, giacinto dal pennacchio, spigola, vongole, ciliegie, agretti, noce di bue diventano – spostandoci geograficamente – acciuga, erba brusca, susina, zampino, cornetto, lampascione, branzino, arselle, cerase riscoli, rosa di bue 
REGIONI E DIALETTIIl progetto di Artusi è stato ripreso, e riformulato, dallo studioso della lingua Massimo Arcangeli, che ha messo insieme un bel volume – Peccati di lingua. Le 100 parole italiane del Gusto – con l’aiuto di una schiera di allievi, colleghi e amici (e la collaborazione della Dante Alighieri), individuando appunto cento parole del gusto italiano, in ordine alfabetico – agnolotti, arancino, arrosticino, babà, bagna cauda, bigoli, bottarga, brasato, bresaola, briggidini, burrata, caciucco, canederli, caponata – corrispondenti a una varietà di luoghi, regioni e dialetti, con citazioni musicali, riproposizioni di classici letterari, divertite citazioni dalla cultura pop e financo dal trash televisivo (da Dacia Maraini a Vladimir Luxuria, dal Gattopardo alle showgirl, da Michelangelo a Luca Barbareschi, da Omero a Bennato, da Tabucchi a Hansel e Gretel, da Carofiglio alla polenta del manzoniano Renzo e alla pastiera del Cunto de li cunti, da Gadda a Carla Fracci). I panzerotti, ad esempio (involti di pasta di pane ripieni di formaggi, salumi, etc.), conoscono molteplici varianti: calzoni, pizza fritta, piturri, sgabei
I MILLE CAMPANILI
Accanto ai geosinonimi vi sono poi aree di indecifrabile ambiguità semantica: a maccheroni, già presenti nel Decameron, corrispondono tipi di pasta anche molto diversi: spaghetti, bucatini, fusilli, e poi pasta corta, come i rigatoni da timballo (nel Gattopardo). Eppure nell’Italia gastronomica dei mille campanili e dei diecimila dialetti curiosamente i nomi locali del confetto sono spesso simili fra loro: dal siciliano cunfetta al napoletano cunfiette, dal pugliese cumbitte all’abruzzese cumbette, dal cunfeto marchigiano al confet friulano.
Scorrendo queste pagine si possono fare alcune scoperte sfiziose, così come imbattersi in qualche fatale delusione. Tra le prime: leggere che nel manifesto della Motta, del 1937, campeggiava una grande M, a siglare la sinergia di Motta, Milano e Mussolini. O apprendere che negli anni 50 la parola espresso (dalla macchina espresso da bancone, del 1901) sostituì in tutte le regioni la parola caffè, realizzando la sospirata unità linguistica, ma oggi è regredita fino a essere usata quasi solo all’estero.
Tra le seconde, e più traumatiche: scoprire l’origine (probabilmente) non romana di due piatti tipici come la carbonara (presumibilmente importata dalle truppe alleate dopo la guerra, allora con uova in polvere e bacon) e i saltimbocca, che sembra provengano da Brescia.
Ma c’è un piatto che esprime al meglio e in modo paradigmatico la quintessenza della tradizione italiana, non solo culinaria: la ribollita toscana, minestra povera, fatta di patate, fagioli bianchi, pane e cavolo nero, e più adatta a essere ripassata (ribollita) il giorno dopo, per amalgamare i sapori. Dunque: semplicità ed eleganza, proprio come la prosa di Galileo e di Machiavelli. Anche se, bisogna riconoscere, la minestra continua a evocare per molti di noi un’infanzia un po’ triste e penitenziale, quasi da convitto.
CIBO NEGLETTO
Cedo allora la parola, per ritorsione, al Leopardi qui citato, Contro la minestra(dalle Puerili): O cibo, invan gradito dal gener nostro umano!/ Cibo negletto e vile, degno d’umil villano!/ ()/ E dir potrete vile un cibo delicato, /che spesso è il sol ristoro di un povero malato. A tal cibo vile e da convalescenti sempre preferiremo i maccheroni divorati da un pantagruelico Alberto Sordi/Nando Mericoni in Un americano a Roma(1954): Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno!