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 2016  settembre 11 Domenica calendario

Da Andy Garcia a Salman Rushdie, da Moby a Emma Stone: cosa facevano e dove erano l’11 settembre di quindici anni fa

Colum McCann
Me ne stavo seduto nel mio studio del mio appartamento a Manhattan. All’inizio non feci caso agli scoppi che provenivano da otto chilometri di distanza. Sentivo molte sirene di ambulanze fuori dalla finestra, ma a quell’epoca vivevo vicino a un ospedale e in un primo momento non mi era sembrato così insolito. Venni a sapere che cosa era appena successo quando mia sorella mi telefonò da Londra.
Io e mia moglie accendemmo la televisione e restammo a guardare i servizi, disperati. Il padre di mia moglie si trovava nella Torre Uno, la prima a essere colpita. Eravamo convinti che quando le Torri erano crollate fosse rimasto ucciso o gravemente ferito.
Scoprimmo poi che era uno dei fortunati. Era riuscito a uscire. Era seduto alla sua scrivania quando l’aereo aveva colpito l’edificio. Si era immediatamente lanciato verso le scale e dopo novanta minuti era riuscito a uscire nell’aria frastornata di Manhattan. Era come se la città fosse stata sbiancata con la polvere e i detriti dell’esplosione: una tempesta di neve fatta di cenere, cemento e carta.
Lui era riuscito ad allontanarsi. E appena superata Church Street – come catalogare questo genere di ironie? – si era girato e aveva visto la “sua” Torre che crollava.
Quando più tardi, quel pomeriggio, arrivò nel nostro appartamento, mia figlia sentì l’odore di fumo sui suoi abiti e scappò a nascondersi dicendo che il nonno stava «bruciando da dentro». Lui distrusse tutti i vestiti, ma siamo riusciti a conservare le sue scarpe.
Anni dopo le abbiamo donate al “Memorial”dell’11 settembre.
Non sono mai andato a vederle. Non ci riesco. Sono lì perché le vedano altri, per me è già sufficiente ricordarle.
Scrittore, il suo ultimo libro è Transatlantic ( Bur, 2015)

Salman Rushdie
Mi trovavo in una stanza d’albergo a Houston, in Texas, impegnato nel tour promozionale del mio libro, Furia.
Dopo aver visto le immagini ho provato solo orrore. Come chiunque altro. Quando ci ripenso la prima immagine che mi torna in mente è quella del secondo aereo contro le Torri che ho visto in televisione.
Trascorsi il resto della giornata dentro la Cappella Rothko, a Houston.
In parte con gli amici.
La maggior parte del tempo in silenzio.
Scrittore, il suo ultimo romanzo è Due anni, otto mesi & ventotto notti
( Mondadori, 2016)

Cathleen Schine
Stavo bevendo il caffè a letto nel nostro appartamento nell’Upper West Side.
Accesi la televisione proprio nel momento in cui il primo aereo colpiva la prima Torre.
All’inizio ero confusa: non mi sembrava una cosa reale.
Anche se la stavo vedendo con i miei occhi non mi sembrava reale. Una volta fui coinvolta in un’incidente d’auto: ecco, mi sentivo un po’ così. Se ripenso a quel giorno, mi viene subito in mente l’aereo che perfora la pelle dell’edificio più alto di New York.
E poi le strade.
Il silenzio che c’era nelle strade. Portai a spasso il cane e tutto veniva sussurrato.
Le persone parlavano fra loro a bassa voce. Mentre risalivo lungo Broadway sentii del secondo aereo e che le Torri stavano crollando: la gente si passava le notizie con un tono quasi gentile. Trascorsi il resto della giornata ad aspettare il ritorno dei miei figli da scuola, poi di fronte alla tivù a guardare le cose che peggioravano sempre di più, mentre telefonavo a tutte le persone a cui volevo bene.
Scrittrice. Il suo ultimo romanzo è Le cose cambiano

Moby
L’11 settembre è il giorno del mio compleanno, e quell’anno avevo festeggiato con degli amici la sera prima. Avevo fatto tardissimo, sentii la prima esplosione perché le finestre vibrarono ma non mi resi conto. Poi il telefono cominciò a squillare e squillare e io mi chiedevo chi diavolo potesse essere che voleva a tutti i costi farmi gli auguri in modo così assillante. Quando ci fu la seconda esplosione ero ormai sveglio. Sentivo gente che urlava ovunque. Sono corso sul tetto della mia casa in Elizabeth Street e ho visto le torri del World Trade Center in fiamme. Ricordo che non riuscivo a smettere di tremare mentre il mio appartamento si riempiva dell’odore del fumo.
Da allora non sono mai più riuscito a festeggiare il mio compleanno.
Musicista. Il suo ultimo album è Music from Porcelain ( 2016)

Michael Cunningham
Ero a Cape Cod: avevo in programma di tornare a New York nel corso della giornata quando sentii che un aeroplano aveva colpito una delle Torri Gemelle. Come molti, pensai che doveva trattarsi di un incidente. Negli anni Trenta un aeroplano aveva colpito l’Empire State Building, quello era stato effettivamente un incidente, e anche se i danni erano stati ingenti non erano nulla a confronto di quello che successe l’11 settembre.
Accesi la televisione. E, come tutti, cominciai a rendermi conto di quello che stava realmente succedendo. Mio marito Ken era già tornato a New York e dall’appartamento in cui vivevamo si vedevano le Torri, anche se eravamo distanti circa un chilometro e mezzo. Gli telefonai immediatamente: stava guardando la scena dalla finestra del nostro salotto, ma la linea continuava a cadere.
Insomma, io guardavo l’attacco in televisione e intanto Ken, inorridito, mi forniva a intermittenza una testimonianza oculare. Era una strana sovrapposizione: la versione “ufficiale” in televisione che correva in parallelo alla testimonianza scioccata di mio marito, che andava e veniva. Si potrebbe dire che ero lì e allo stesso tempo non c’ero. Provai una sensazione di irrealtà. Mi sembrava letteralmente impossibile che stesse accadendo, e l’irrealtà della cosa diventava sempre più estrema. Credo che questa sensazione di estremo, di impossibilità, abbia toccato l’apice quando la prima delle due Torri ha iniziato a crollare.
Sicuramente non è così in tutti i paesi, ma noi in America, e di sicuro noi a New York, ci aspettiamo che i nostri palazzi rimangano in piedi, per quanto danneggiati. Penso che sia una reazione abbastanza tipica, o forse no.
Il dolore e la paura sono poi arrivati abbastanza in fretta, ma prima la sensazione era quella di una sorta di allucinazione di massa.
Ripensandoci oggi, la prima immagine che mi torna in mente è quella dell’aereo che colpisce il secondo edificio, cioè il momento in cui si è capito chiaramente che non si trattava di un incidente, che stava succedendo qualcosa di terribile, qualcosa che avrebbe cambiato le nostre vite per sempre. Trascorsi tutta la giornata sotto shock, e in lutto.
Non c’era modo di arrivare da Cape Cod a New York quel giorno, ma sono stato fortunato (“fortunato” sembra una parola un po’ strana da associare a quella giornata, in qualsiasi senso) perché avevo diversi amici a Cape Cod, molti dei quali newyorchesi in vacanza: almeno così non ero solo nel mio shock e nel mio dolore.
Autore di Le ore, il suo ultimo romanzo è Il cigno selvatico ( La nave di Teseo, 2016)


Siri Hustvedt
Ero a casa, nel mio studio, seduta alla scrivania, intenta a scrivere una lettera a un vecchio amico che stava morendo di cancro.
Dalla stanza di nostra figlia Sophie, che è al quarto piano della casa attigua, io e mio marito ci affacciammo e guardammo il fumo che riempiva il cielo sopra la prima delle due Torri a essere colpita. Ero sicura che si trattasse di un incidente. Poi vedemmo il secondo aeroplano schiantarsi sulla seconda Torre in televisione. Non era un incidente. Il mio primo pensiero fu: è arrivata da noi.
Mia madre aveva vissuto l’occupazione nazista in Norvegia, mio padre aveva combattuto in Nuova Guinea e nelle Filippine durante la Seconda guerra mondiale. A differenza di tanti americani, io non avevo la percezione che gli Stati Uniti fossero, chissà perché, immuni alle catastrofi. Mia figlia era uscita di casa quella mattina per prendere la metro e andare a scuola: era il suo primo giorno di liceo. Non aveva mai preso la metro da sola prima. Calcolai che il suo convoglio doveva essere passato sotto il World Trade Center mezz’ora prima che il primo aereo si schiantasse sul suo obiettivo, ma telefonai a scuola per esserne sicura. Era arrivata sana e salva, ma dovetti aspettare il mattino seguente per poterla andare a riprendere nell’Upper West Side di Manhattan.
L’immagine che mi è rimasta più impressa non l’ho vista di persona. Mia sorella Asti e sua figlia Juliette, che all’epoca aveva sette anni e andava in una scuola appena tre isolati a nord del World Trade Center, scappavano dalle Torri in fiamme verso nord insieme a centinaia di altre persone.
Quando arrivarono all’angolo di White Street, pochi numeri civici prima del loro palazzo, a Tribeca, mia sorella disse alla figlia: “Bene, ora voltati e guarda”. E così fecero.
Dalle finestre di casa penetrava dentro un odore rancido, le chiusi. Nel nostro quartiere di Brooklyn, la gente girava per le strade con la mascherina. Le voci sulla carneficina si sprecavano. In televisione facevano vedere e rivedere ossessivamente gli aeroplani che si schiantavano sulle Torri. Quel giorno il mondo non sembrava molto reale.
Scrittrice. Il suo ultimo libro è Il mondo sfolgorante ( Einaudi, 2015)

Andy García
Mi trovavo su un aereo di ritorno dall’Europa quando ci informarono di quello che era successo, subito prima del nostro atterraggio a Los Angeles, dove vivo da trent’anni.
Sentimmo tutti un senso paralizzante di tristezza e orrore, che poi si è trasformato in un forte patriottismo.
Mi ha inorgoglito la risposta, l’intervento della gente di New York e il comportamento di tutta la nazione di fronte a quel tragico episodio: la prima reazione fu quella di stringersi tutti intorno a quell’orrore, uniti e solidali.
Penso soprattutto ai soccorritori, ai vigili del fuoco e ai poliziotti di New York. Ciò che fecero passerà alla storia, furono atti di coraggio straordinari. Tanti di loro hanno perso la vita cercando di salvare altre vite. Un eroico sacrificio che non avevo mai visto prima. Abbiamo pregato per tutti quelli che avevano perso i loro cari, mentre mostravamo a noi stessi il meglio dell’America esaltando lo sforzo di quei molti di soccorrerci e di proteggerci.
Questa è la cosa più bella che possa fare un popolo, una nazione: aiutarsi a vicenda. E in quel doloroso momento mi sono sentito quanto mai e univocamente fiero di farne parte, di essere un americano.
Attore. Il suo ultimo film è Ghostbusters ( 2016)


Bret Anthony Johnston
Ero all’aeroporto di Newark, lo stesso da cui era partito il volo 93 poco prima del mio arrivo.
Stavo aspettando il mio volo per tornare nell’Iowa, dove frequentavo l’università. Ero giovane, ero ingenuo. Mentre andavo verso l’imbarco vidi una folla di persone accalcate sotto il televisore del bar, tutti con gli occhi in su e la bocca spalancata. Un lustrascarpe mi disse che un aereo a turboelica aveva colpito per errore una delle Torri di New York. Poi mi indicò la parete di vetro dietro cui si vedeva Manhattan, dall’altra parte del fiume, e il sottile filo di fumo che si alzava dalla Torre Nord. Pensavo fosse un incidente. Tutti lo pensavamo.
Quando anche il secondo aeroplano si schiantò sulle Torri, ci fu un momento – troppo lungo, troppo breve – in cui sembrò che il problema fosse tecnico, qualcosa che era andato tragicamente ma involontariamente storto con i sistemi di controllo del traffico aereo. Poi il presidente Bush, pallido e frastornato, comparve sul televisore del bar dicendo che il Paese era sotto attacco. Ricordo le grida, gente che scappava via, intorno a me era come un fiume in piena.
Non mi muovevo. Pensa, pensavo. Pensa.
Ma i miei pensieri non riuscivano a far presa in quel momento. Non pensavo che il mondo stava cambiando. Non pensavo che le Torri sarebbero cadute. Non pensavo che presto mi sarei ritrovato in un taxi strizzato accanto a un pilota d’aereo che mi avrebbe detto che i dirottatori avevano ucciso i piloti di quegli aerei, e non pensavo quanto le sue parole, la pesantezza certa e semplice di quelle parole, mi avrebbero abbattuto, immediatamente e completamente. Restavo semplicemente lì, a fissare quella parete di vetro, a guardare quei fiotti di fumo che sfregiavano il cielo.
Scrittore. Il suo ultimo libro è Ricordami così ( Einaudi, 2015)
 
Lenny Kravitz
Quel giorno mi trovavo casualmente a New York. Era la mia città ma non ci vivevo da un pezzo. Dormivo in un albergo di Tribeca, vicinissimo alle Torri. Proprio quel pomeriggio, il pomeriggio dell’11 settembre, avrei dovuto girare un video in cima a una delle Torri, mi pare la Nord. Roba da non crederci.
Vedevo allo stesso tempo le Torri in fiamme sullo schermo del televisore e fuori dalla finestra dell’albergo. Ero arrivato la sera prima, non avevo fatto in tempo a dare alle Torri nemmeno un ultimo sguardo. E al mattino non c’erano più.
Cantante. Il suo ultimo album è Strut ( 2014)
 
Chuck Palahniuk
Durante il primo attacco stavo dormendo sulla West Coast, che è tre ore indietro rispetto a New York. Quando mi svegliai, alla radio i notiziari stavano dicendo che si trattava di un incidente. Mentre ero steso mezzo addormentato sentii che il secondo aereo si era abbattuto sull’altra Torre.
La mia prima reazione?
Immobilità. Rimasi a letto, per paura che se avessi lasciato la radio mi sarei perso un dettaglio cruciale.
Non avevo televisione all’epoca, perciò presi la macchina e andai a casa di un amico, un tipo molto provinciale, che non era mai stato a New York. Guardava i notiziari e scrollava le spalle: “Se vivi in una città come New York, devi aspettarti che succedano cose del genere”.
Quella frase me lo fece odiare.
Autore di Fight Club, il suo ultimo romanzo è Beautiful You ( Mondadori, 2015)
 
Emma Stone
Ero a casa, in Arizona, stavo dormendo quando alle cinque e mezza del mattino mio padre venne a svegliarmi per salutarmi, come faceva sempre prima di andare al lavoro. Mi disse solo: “È successo qualcosa, c’è un aereo che si è schiantato sulle Torri Gemelle”. Mi sono rimessa a dormire. Poi, una ventina di minuti dopo, mi sono svegliata di scatto, sono corsa ad accendere la tv con un senso di allarme. Ho iniziato a vedere le immagini dell’orrore in televisione. Uno shock.
Sembrava impossibile.
L’orrore assoluto. Qualcosa che ci ha cambiati tutti; l’America, ma forse il mondo, ha perso la sua innocenza. Non ci saremmo mai più sentiti sicuri nelle nostre vite.
Attrice. Al Festival di Venezia ha appena presentato
La La Land
 
Joe R. Lansdale
Quella mattina appena sveglio avevo bevuto una tazza di caffè e stavo per andare a lavorare quando squillò il telefono. Era la migliore amica di mia moglie. “Accendi la tv”, mi disse, “un aereo si è schiantato sulle Torri Gemelle”. La accesi mentre si schiantava il secondo aereo. Pensavo che l’amica di mia moglie intendesse un piccolo aereo andato fuori rotta, ma questi erano aerei di linea e le Torri ora stavano crollando, la gente stava morendo. Mi strappò via una fetta di anima. Seppi istintivamente che era un atto deliberato, e capii che le cose sarebbero cambiate per sempre, non solo per i newyorchesi, per gli americani, ma per il mondo intero. Poi, per mesi, tutto sembrò irreale, pochissime cose sembravano avere importanza. E anche se in una certa misura ci siamo lasciati alle spalle tutto ciò, perché dobbiamo comunque andare avanti, io vedo ancora le Torri che crollano e un pezzetto di mondo che crolla con loro.
Scirttore, il suo ultimo romanzo èè Hap G Leonard 2 (Einaudi 2016)
 
Blondie
Ricordo chiaramente il 10 settembre. Avevo fatto un giro in bicicletta ed ero passata anche sotto le Torri. Ricordo che avevo avuto uno di quei pensieri che non ti sai spiegare. Pensai “Oh mio dio, devo fare una foto alle Torri, prima che scompaiano”. Mi viene la pelle d’oca quando ci ripenso.
All’epoca abitavo al diciassettesimo piano di una casa che guardava su Lower Manhattan. Fu come guardare tutto alla tv. Ma era lo schermo di casa mia. Avevo tanti amici che abitavano da quelle parti.
Ero terrorizzata. Ci riunimmo, non sapevamo che fare.
Provammo ad andare a vedere. Ma c’era gente ovunque e allo stesso tempo le strade erano deserte. Mi sentivo senza speranza. Senza difese. Fuori fuoco mentalmente e fisicamente.
Cantante. Il suo ultimo album è Ghost of Download ( 2014)
 
Alicia Vikander
Avevo tredici anni e andavo ancora a scuola. Quel giorno tornai a casa e mia madre era in cucina a preparare il pranzo, con la televisione accesa: cercò di spiegarmi cosa stavo succedendo ma io non capivo, ero convinta che quelle immagini che passavano sullo schermo fossero di un documentario, qualcosa di lontano o di passato, non potevo credere che stesse succedendo proprio in quel momento.
Attrice. Al Festival di Venezia ha appena presentato il suo ultimo film, La luce sugli oceani
 
Michael Fassbender
Dormivo sul divano del residence che dividevo con i colleghi della serie
Band of Brothers a Los Angeles. Mi sono svegliato e la televisione era accesa ma non c’erano programmi, solo un fruscio continuo. L’appartamento sembrava vuoto. Iniziai a chiamare ma non rispondeva nessuno; tutti gli amici stavano nell’appartamento di fronte, in silenzio a guardare le immagini. Mi sono messo a fissarle anche io, senza riuscire a dare un senso razionale a quello che vedevo. Mi sembrava fantascienza, mi sembrava una sorta di tremendo film dell’orrore.
Attore. Al Festival di Venezia ha appena presentato il suo ultimo film,
 
Scott Turow
Ero a Boston la mattina dell’11 settembre. Arrivai in aeroporto a tempo di record e riuscii a cambiare il mio volo con un altro, sempre American Airlines. Ciò vuol dire che, secondo tutte le ricostruzioni, sono passato accanto al primo gruppo di dirottatori, quelli del primo aereo che ha colpito le Torri. L’idea che ero stato così vicino a loro mi ha lasciato con una strana sensazione per giorni. La mia famiglia sapeva che stavo tornando da Boston e inizialmente temeva che il volo dirottato fosse il mio.
Il mio aereo invece partì prima di quello su cui si trovavano i dirottatori, e atterrò a Chicago dopo gli attacchi. Una volta atterrato, l’aereo venne trattenuto sulla pista. Tutti gli altri aerei presenti in quel momento in aeroporto erano stati spinti fuori dal terminal.
L’uomo seduto accanto a me, un ex agente dell’Fbi, guardando fuori disse che c’era un allarme bomba. Le chiamate sui nostri cellulari ci rivelarono invece come stavano davvero le cose. In un primo momento mi rifiutavo di crederci. Gli Stati Uniti, con le loro difese aeree da miliardi di dollari, attaccati da aerei in tutto il paese?
Un amico che sapeva che ero a Boston mi chiamò per vedere se stavo bene. Lui, ironia della sorte, era in centro a Manhattan. Ho sentito i dettagli di quanto era accaduto nel momento in cui mi ha chiamato. Aveva visto il secondo aereo colpire le Torri e giurò che era un piccolo aereo privato. Non riuscii a convincerlo che invece si trattava di un 747. Cito sempre questo particolare quando mi capita di discutere di inattendibilità della testimonianza oculare.
Scrittore. Il suo ultimo romanzo è Identici ( Mondadori, 2014)
 
Stephen Amidon
Ero a casa, nella cittadina del Massachusetts dove vivevo con mia moglie e i miei quattro bambini. Quella mattina avevo portato la mia macchina dal meccanico.
Quando arrivai vidi nel televisore una delle Twin Towers che bruciava. C’erano due uomini anziani, anche loro stavano aspettando.
Chiesi che cosa era successo, mi dissero che l’edificio era stato colpito da un aereo.
“Ma quante credi possano essere le possibilità che accada davvero una cosa simile?” dissi io, pensando che potesse trattarsi di un incidente. In quel momento, si schiantò il secondo aereo.
“Sicuramente un numero sufficiente” rispose prontamente uno degli anziani. Poiché la mia auto era fuori servizio, corsi a casa – oltre un miglio – da mia moglie. Abbiamo guardato insieme ciò che stava accadendo. Dopo il crollo delle Torri, presi la macchina di mia moglie per andare prima a prendere a scuola i miei due figli più grandi. Abbiamo passato il resto del giorno insieme, incollati alla tv.
L’illusione che ci saremmo sempre sentiti sicuri nella nostra piccola città andò in frantumi quella notte, quando un aereo volò a bassa quota sopra la nostra casa in direzione di una centrale nucleare che si trovava trenta miglia più a nord. Solo in seguito, abbiamo scoperto che era un aereo militare di pattuglia. Eravamo terrorizzati dall’eventualità che ci fosse stato un altro attacco. La mattina dopo abbiamo saputo che stavamo vivendo in un’America diversa.
Autore de Il capitale umano, il suo ultimo libro è La vera Justine ( Mondadori, 2016) ( traduzioni di Fabio Galimberti)