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 2016  settembre 11 Domenica calendario

Acciaio, per la prima volta ne importiamo più di quanto ne produciamo

Norme incerte e commissariamento infausto. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e a capo del colosso europeo Duferco, manifesta tutta la sua preoccupazione per l’allungamento dei tempi sul destino dell’Ilva e sbatte in faccia alla politica un dato su cui, spiega, si dovrebbe riflettere attentamente e con grande velocità: per la prima volta dal Dopoguerra, nei primi sette mesi del 2016 l’importazione di prodotti piani ha superato la produzione interna. Un’inversione di tendenza che, se confermata in futuro, porterebbe l’Italia verso una marginalizzazione del business dell’acciaio.Presidente Gozzi, che cosa stiamo rischiando?«Di vedere sempre più ridotto il peso e il valore della siderurgia italiana. E la mia non è una difesa d’ufficio, quanto un allarme. L’acciaio è tutto fuorché un settore decotto, crea ricchezza e lavoro, ma in Italia sembra si faccia di tutto per metterlo in difficoltà».Si riferisce alla vicenda dell’Ilva?«È il paradigma di tutto, non si può non essere preoccupati dall’allungamento dei tempi per la cessione del gruppo. Se la dead line si allontana, tutto si complica in un contesto già di per sé non semplice. C’è infatti necessità di intervenire sugli impianti e bisogna far decollare anche la produzione. Ma se le cose non si muovono...» Le offerte però sono concrete.«E questa è una fortuna perché l’unica cosa da augurarsi è che il più presto possibile un gruppo di privati possa togliere l’Ilva da questo infausto commissariamento».I tempi sono fondamentali?«Le rispondo con un dato. Per la prima volta dal Dopoguerra a oggi, nei primi sette mesi dell’anno l’import di prodotti piani è stato superiore alla produzione interna: 5,7 milioni di tonnellate contro poco più di 5».E questo cosa significa?«Questo la dice lunga su ciò che stiamo rischiando se l’importazione supera la nostra produzione. Possibile che non ci si renda conto del rischio che corriamo? Marginalizzazione dal business, costi più alti, consegna ad altri operatori di un mercato che è ampiamente alla nostra portata».Come giudica le offerte per l’Ilva?«Non entro nel merito, ma confermo il mio giudizio ampiamente positivo sul fatto che imprenditori privati si siano messi in gioco in una sfida di queste dimensioni, una sfida davvero enorme».Quali sono gli ostacoli?«Beh, direi che la dimensione manageriale e finanziaria dell’operazione è davvero senza precedenti per l’imprenditoria privata italiana. Ma non è solo questo il punto».E qual è allora?«L’incertezza delle norme, un male molto italiano che complica ulteriormente la definizione dell’operazione. Serve una legislazione che non sia farraginosa e complessa, ma che aiuti a risolvere la situazione. Lo diciamo sempre, ma poi ogni volta dobbiamo ricominciare dall’inizio».