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 2016  settembre 11 Domenica calendario

Storia della miniatura italiana

In una vasta sala luminosa, con allestimento di Michele De Lucchi, la Fondazione Cini di Venezia espone 133 miniature della sua ricchissima collezione, paragonabile solo alla Wildenstein di Parigi e alla Lehman di New York. Sopra, nelle sale al primo piano, un workshop spiega come si creava un libro miniato, mentre ingrandimenti delle pagine miniate accompagnano il breviario che Ludovico il Moro fece eseguire dal miniatore Giovanni Pietro Birago, come calcolato omaggio a Carlo VIII di Francia. Il codice è così piccolo che sta tutto in una mano. Tre volte vi ricorre l’immagine di Carlo Magno con una tematica ispirata ai mosaici del Triclinio Lateranense. Infine, gli ingrandimenti delle preghiere per i condannati della Compagnia dei Battuti di Ferrara, del Quattrocento, accompagnano il visitatore in una singolare esperienza sonora.
Tali strategie sono state pensate per presentare al grande pubblico una mostra eccezionalmente dedicata a un tema normalmente riservato agli specialisti. Nella grande sala sono esposti autentici capolavori della miniatura, come, per citare un esempio, tre fogli di un messale di Perugia da cui partì la rivalutazione di Longhi del Trecento umbro. Di frammento in frammento è qui presente tutta la storia della miniatura italiana, dalle iniziali geometriche dei codici fiorentini del XII secolo alle iniziali dipinte da Taddeo Crivelli, che lavorò per la biblioteca di Malatesta Novello a Cesena, al ferrarese Franco dei Russi, che operò per Federico di Montefeltro, a Belbello da Pavia, attivo per i Gonzaga, al Beato Angelico e a Zanobi Strozzi che con umiltà eseguirono miniature per i conventi domenicani. Due spettacolari iniziali dell’inconfondibile maestro del gotico fiorito veneziano, Cristoforo Cortese, stupiscono per la loro inventiva, mentre invitano a cogliere gli echi della grande pittura fiorentina dell’età di Lorenzo il Magnifico le pagine impeccabili di Monte del Fiora e Attavante. Firenze si dimostra però all’avanguardia con l’inventiva di Pacino di Bonaguida, il primo a trasferire nelle pagine miniate la potenza inventiva di Giotto.
Una collezione come quella della Fondazione Cini affonda le radici nelle origini del collezionismo moderno. La miniatura era sempre stata una forma di pittura segreta, confinata tra le pagine di codici chiusi in preziose legature, sfogliati da pochi privilegiati. Oppure, fino al Concilio di Trento, era stata esposta in grandi iniziali figurate sui leggii dei cori conventuali. Proprio uno dei fogli qui esposti ci mostra, sotto una iniziale «C» concepita come un quadro, un gruppo di monaci riuniti nel canto corale sotto un leggio su cui è posato un corale aperto sulla parola «Gloria».
Il rapporto tra immagine e testo era stato fondamentale nella lunga storia della miniatura. Quella relazione fu troncata col moderno collezionismo. Con il rivolgimento provocato dalle campagne napoleoniche, mentre i polittici venivano smembrati, i codici miniati andarono dispersi. I primi a scoprire la loro bellezza furono i pittori, ammirati da quei colori intatti e da quel mondo di santi e di cavalieri, dove l’immagine aveva preso il posto della parola. Era questo il punto. L’assenza della parola. William Ottley, pittore e collezionista (1771-1836), futuro direttore delle stampe al British Museum, si era dato a ritagliare le miniature dalle pergamene.
In Italia, l’abate Luigi Celotti (1759-1843) fece commercio dei suoi ritagli (tra l’altro dai codici della Cappella Sistina). Già nel 1825 la casa d’aste Christie’s presentava un catalogo di miniature. Staccate dal testo, le miniature da illustrazioni che erano state divenivano solo dipinti. Erano dipinti nati per «ornare» la pagina scritta. A volte la scrittura fu raschiata. Oppure, per accrescere la preziosità dell’oggetto, cornici miniate furono ritagliate da altri codici e incollate a miniature a loro volte tagliate. Come accadde per una splendida miniatura milanese del 1439 qui esposta. La collezione Cini fu acquistata dal conte Vittorio Cini nel 1939 dalla libreria milanese di Ulrico Hoepli, che a sua volta aveva incamerato le miniature della magnifica raccolta di John Fairfax Murray, figlio del pittore preraffaellita Charles.
Le miniature erano state catalogate da Pietro Toesca, in uno studio da vero pioniere, che resta un grande monumento di cultura e di acume critico. Altri studi sono seguiti, in particolare di Giordana Mariani Canova, per le miniature dell’Italia settentrionale, mentre, oltre al catalogo della mostra, a cura di Federica Toniolo e Massimo Medica, che è già di per sé un notevole strumento, presto uscirà il catalogo generale. Una novità degli studi è la riscoperta di una miniatura, andata dispersa da una biblioteca settecentesca di Veroli, di Cristoforo Orimina, il pittore dei codici del re Roberto d’Angiò.