La Lettura, 11 settembre 2016
Le profezie dell’uomo che misura l’audience del web
Dal calcolo approssimativo (ma incredibilmente quasi corretto) della circonferenza terrestre da parte di Eratostene di Cirene due secoli prima di Cristo alle triangolazioni del Survey of India che portarono Radhanath Sikdar a individuare la vetta più alta della Terra in quella montagna che sarebbe poi stata battezzata Everest (dal nome del cartografo inglese che non ne aveva mai neppure immaginato l’esistenza) le conquiste umane sono sempre state accompagnate dai numeri: la metrica – intesa come generalizzazione del concetto di distanza nello spazio euclideo e non come struttura ritmica della poesia – ha sempre impegnato l’uomo nella sua battaglia per la conoscenza del mondo fisico. Ma anche il World Wide Web non ha fatto eccezione, in questo: tutto ruota intorno al sacro numero degli utenti attivi, un valore che, prendendo in prestito il linguaggio televisivo, potremmo chiamare l’audience della Rete.
In qualche maniera la metrica è la misura della democrazia virtuale visto che anche la democrazia, cinicamente, non è altro che la misura trasparente dei voti. Ma è anche la misura degli occhi che si posano su una pubblicità, l’ossigeno finanziario che alimenta il circo online. Oggi la categoria dell’utente unico, avatar del telespettatore moderno, è entrata nel linguaggio comune. Ma rimane meno noto che sia una società, ComScore, a scandagliare a livello mondiale i nostri clic. Ed è ancora meno noto che essa sia stata co-fondata da Gian M. Fulgoni, inglese di origini italiane, nato a Crickhowell dopo che i genitori emigrarono da Bardi, in Emilia-Romagna. «Aprirono un ristorante a Pontypool nel Galles del Sud. Oggi non c’è più. Io dopo gli studi universitari in Fisica e Marketing – ricorda oggi parlando con “la Lettura” – andai negli Stati Uniti da solo». È lì che iniziò la sua lunga storia di innovatore. Ormai appare una banalità parlare dell’importanza di sapere quanti utenti attivi ci siano su Facebook: la pubblicità, vero motore della Rete, non potrebbe esistere senza questo totem. Ma nel 1999, diciassettenne anni fa, quando le sorti della Rete non erano così certe, la storia era diversa. Al tempo Facebook non esisteva nemmeno nella testa di Mark Zuckerberg, che era un quindicenne, e il motore di ricerca più usato al mondo, Google, era nato solo da un anno. «A noi sembrava una grande opportunità, ma per essere sinceri eravamo agli inizi e nessuno allora poteva immaginare che oggi saremmo arrivati a tanto: negli Stati Uniti un dollaro su sei viene speso online». Amazon, in verità, esisteva anche nel ’99, ma vendeva solo libri e oggetti oggi vintage come i cd e i dvd. «Invece ora la domanda che dobbiamo porci, se guardiamo ai prossimi cinque o dieci anni, è se esisteranno i supermercati. Se parliamo di beni alimentari solo un dollaro su cinquanta finisce online, ma questo mercato sta cambiando molto velocemente. Amazon cambia tutto».
Diventeremo una repubblica economica basata su Amazon
La storia di Fulgoni che da poche settimane, a 68 anni, è diventato anche il chief executive officer della società detta anche la «Nielsen della rete» rispetta la regola di Steve Jobs: srotolandola dalla fine all’inizio tutto sembra collegato. Come quando, ricorda, «dopo le prime esperienze a Pittsburgh e la carriera da manager a Chicago, dove ancora oggi vivo, mi ritrovai a lavorare per Iri, la Information Resources, Inc, la prima compagnia a vendere scanner per la raccolta massiccia di dati sia nei negozi che nel settore manifatturiero. Lo scanner fu una vera rivoluzione». La raccolta dati, anche se dal mondo fisico, è uno dei «puntini» da collegare per arrivare a ComScore. Un altro di questi puntini è sicuramente il passaggio di Fulgoni nel consiglio di amministrazione di U. S. Robotics. Calato nel dibattito odierno del rapporto uomo-macchina questo nome potrebbe fare pensare a una società di robot. Ma nel ’98 la U. S. Robotics – forse qualcuno ricorderà il Palm che fu acquistato dalla società e anticipò per breve tempo la promessa degli smartphone – produceva modem e reti wireless. Un’esperienza che tornerà utile a Fulgoni. «Quando nel ’99 fondai la società con Magid Abraham, un genio della tecnologia che veniva dal Mit e con cui avevo lavorato alla Iri, partimmo dalla costruzione del panel di due milioni di persone. Il problema era che non li potevamo pagare, così offrimmo loro la connessione alla Rete. Eravamo agli esordi del web. Era un collegamento dial up da 50 kbit al secondo». Un ricordo di quando le pagine online si caricavano a scatti. Oggi farebbe ridere, ma allora equivaleva a essere uno dei cittadini più avanzati al mondo. «Era la broadband», la banda larga, ride Fulgoni.
Diciassette anni dopo ComScore fa online quello che un gigante come Nielsen fa in tv. «Siamo la Nielsen del web, a tutti gli effetti. E ora che la tv e internet stanno convergendo sempre di più tra di loro siamo in forte competizione». In realtà c’è un dilemma oggi sul mercato: audience tv (quella in stile Auditel, per intendersi) e utenti unici non dialogano. Sono metriche diverse, non confrontabili. Come mettere mele e frutto della passione insieme. Nielsen stessa ha già sollevato il problema, chiaramente pro domo sua, dicendo che un utente unico non vale un telespettatore.
«È un problema enorme oggi che anche gli show negli Usa vengono seguiti in streaming sempre di più sui tablet. Abbiamo bisogno di una tecnologia totalmente diversa per risolverlo» sintetizza l’Eratostene del web. A scaldare il clima c’è stata Twitter che è entrata per la prima volta nel campo dei diritti tv del football americano e che con i suoi servizi live potrebbe anche diventare un broadcaster puramente online. L’universo pubblicitario, vero deus ex machina della Rete, segue con attenzione la vicenda, come se fosse una finale del Mondiale di calcio. Dietro questi affari di numeri e tecnologia ci sono centinaia di miliardi di dollari che ogni anno le società puntano verso la tv e verso la Rete.
Miliardi uguale competizione Competizione uguale tensione
«È un fatto che Nielsen, se si guarda al solo segmento della tv tradizionale, sia un monopolista. Per questo non potranno mai acquistarci. Sarebbe la fine», sentenzia Fulgoni ricordando quando proprio Nielsen tentò un approccio con gli scanner di Iri, ricevendo un no dal mercato per l’eccessiva concentrazione di potere.
Fulgoni, con i suoi 68 anni portati molto sportivamente, non è un rivoluzionario. Ma preserva una visione critica della vita online, anche se deve proprio all’invenzione di Tim-Berners Lee la propria fortuna anche di milionario. «Se parliamo degli ultimi 50 anni sicuramente internet è stata la più grande scoperta dell’umanità. Prima ci sono state altre cose come l’energia elettrica e dunque è difficile confrontarle. Ma quando parliamo di internet spesso guardiamo al valore prodotto per il consumatore che ha avuto tutto. Pensiamo a Google, al commercio elettronico, a Facebook e ai social network. Qualunque tipo di contenuto video, audio e scritto. Ma se invece vogliamo parlare di business allora la storia è diversa. L’e-commerce distrugge i negozi, le catene di librerie. Tra qualche anno dovremo discutere se esisteranno ancora i supermercati. Compreremo un filetto di tonno con un clic appena potremo».
Dunque se la Rete esiste ed è misurabile, forse bisognerebbe anche iniziare a misurare i danni, accanto ai vantaggi, per poter mettere tutto su una bilancia e valutare qual è il saldo finale della più grande invenzione dell’essere umano.