la Repubblica, 11 settembre 2016
Monte dei Paschi, un aumento di capitale quasi impossibile
MILANO.
Forse qualcuno investirà più volentieri ora nella nuova Mps, che salvo sorprese sarà guidato da Marco Morelli (ieri ha preso contatto con il ministero dell’Economia e la sua candidatura ha ottenuto un primo via libera informale dalla Bce). I due consulenti Jp Morgan e Mediobanca hanno chiesto e ottenuto dal Tesoro la testa dell’ad Fabrizio Viola, dopo un agosto di molta fatica e poco costrutto, ma non tutti i problemi si potranno risolvere con il suo allontanamento. La maggior frizione tra il banchiere romano a capo di Mps dal 2012 e gli advisor è emersa sul trattamento degli attuali azionisti (non dissimile da quello visto nei casi delle popolari di Vicenza e Veneto), che potrebbero non godere dei diritti d’opzione sui nuovi titoli. Un fatto che promette scintille alla futura assemblea e che dovrà approvare la ricapitalizzazione fino a 5 miliardi, e che assilla i soci di peso della banca, ormai ridotti a meno del 15%, ovvero quel che rimane ai tre pattisti (ente Mps, Btg Pactual e Fintech, con gli ultimi due fondi in vendita libera) e ai presidi di Axa, Falciai e Tesoro, prima forza con il 4%. Secondo fonti attendibili, infatti, la Borsa italiana – che non ha voluto commentare avrebbe giorni fa condizionato il piano di ricapitalizzazione originario che prevede l’aumento di capitale fino a 5 miliardi con diritto di opzione, al versamentodi garanzie anticipate e per l’intero ammontare da parte delle banche del consorzio ( ipotesi poco concreta). Questo perché senza tali garanzie rischia di diventare tecnicamente impossibile il regolamento dei diritti tre giorni dopo la conclusione dell’operazione. Per capire i motivi del veto bisogna fare una premessa.
La ristrutturazione che la banca senese prepara non prevede il rafforzamento patrimoniale in sé, bensì la vendita di tutti i suoi crediti inesigibili e un conseguente aumento di capitale (per il buco creato dalla diversa valutazione di quei crediti sul mercato rispetto al valore di bilancio). Perché tutto fili liscio le due operazioni debbono essere contestuali e inscindibili, come espresso fin dalla nota stampa Mps del 29 luglio. Contestuali, perché l’ammanco patrimoniale derivante dalla liquidazione di 27 miliardi lordi di sofferenze, se non fosse immediatamente ripianato, provocherebbe l’instabilità della banca, con probabile sua “risoluzione” ai sensi della direttiva europea sul salvataggio interno (bail in). Inscindibili, perché ben pochi azionist,i nuovi o vecchi, investirebbero ancora su Siena senza un bilancio crediti immacolato. L’operazione, come si vede, è particolarmente complessa. Nessuna banca italiana l’ha mai realizzata prima, e sarà anche la più grande cartolarizzazione di crediti europea. E fin da subito i dirigenti di Rocca Salimbeni e la schiera dei loro ben pagati consulenti hanno cercato di tenere insieme i due pezzi dell’operazione, nella forma classica dell’aumento, più garantista per i vecchi soci. Chi non partecipa all’operazione in Borsa si vedrà diluito – una diluizione enorme se si confrontano i 700 milioni di valore dei titoli attuali con i 5 miliardi della ricapitalizazione – ma avrebbe almeno la facoltà di vendere i diritti di opzione a Piazza Affari. In caso di aumento senza diritto di opzione, invece, i soci sono davanti al bivio secco: o lasciano, trovandosi quasi azzerati, o raddoppiano e sborsano un multiplo di quanto valgono i loro pacchetti ormai. Uno scenario del genere, non particolarmente critico per gli advisor o per i nuovi “investitori perno”, era invece mal digerito da Viola, poco incline a presentarsi davanti all’assemblea Mps con questo progetto. Anche tra i 14 consiglieri Mps sembra difficile trovare una maggioranza. Per questo è possibile che si cerchino misure di compensazione. Una di queste potrebbe essere lasciare sottoscrivere a prezzi scontati le future azioni Mps ai soci attuali, rispetto alla frazione di titoli che arriverà dalla conversione (a premio) delle obbligazioni subordinate, o una forma di warrant ai vecchi soci, complessa sul piano fiscale però. Sarà uno dei primi nodi da sciogliere per il nuovo capoazienda se non vuole farsi impallinare dalla riottosa assemblea Mps, dove serve il 66% dei voti a favore.