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 2016  settembre 11 Domenica calendario

L’Abdallah che avrebbe chiesto una tangente a Regeni

ROMA «Miseria umana». Così si espresse Giulio Regeni a proposito di Mohamed Abdallah, l’ex capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti sui cui conduceva i suoi studi e con i quali era entrato in buoni rapporti. Al punto da adoperarsi per far ottenere loro un finanziamento da 10.000 sterline attraverso un progetto della britannica Antipode Foundation. Era l’autunno dello scorso anno. Ma poi accadde che Abdallah facesse capire di volere quei soldi per sé, almeno in parte. Come se pretendesse una «stecca». Giulio bloccò lì il suo interessamento, e il 18 dicembre scrisse sul suo computer quelle due parole per definire il leader sindacale che voleva dirottare nelle proprie tasche i fondi per gli ambulanti.
Questo particolare emerge dagli atti esaminati dal Servizio centrale operativo della polizia e dal Ros dei carabinieri per conto della Procura di Roma, e assume importanza alla luce della rivelazione del procuratore generale egiziano Nabel Sadek nell’incontro con gli inquirenti italiani: la denuncia di Abdallah contro Regeni, depositata – così ha riferito il magistrato – il 7 gennaio di quest’anno. Tre giorni dopo il rientro di Giulio dalle vacanze di Natale. Secondo Sadek, il sindacalista riferì che il ricercatore friulano si muoveva in maniera ambigua, forse in favore dell’opposizione al regime egiziano. Un’insinuazione che, dopo il contrasto con Regeni, sa di vendetta. Una ritorsione che innescò i controlli della polizia investigativa penale di Giza, il quartiere del Cairo dove l’italiano fu rapito tre settimane più tardi, il 25 gennaio.
C’è un collegamento fra il conflitto tra Regeni e Abdallah e l’esposto di quest’ultimo? E tra le conseguenti indagini di polizia (durate solo tre giorni, stando alla relazione di Sadek) e il sequestro di Giulio? È ciò che bisognerebbe chiarire con gli accertamenti che il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco chiederanno agli egiziani di svolgere. Partendo dall’interrogatorio di Abdallah che ieri, interpellato dai giornalisti della Rai, avrebbe negato di aver denunciato Regeni. Smentita curiosa, a fronte di una comunicazione ufficiale del capo della magistratura egiziana.
A un primo esame della documentazione consegnata dalla delegazione arrivata dal Cairo nel vertice svoltosi giovedì e venerdì, non sembra che ci sia l’esposto dell’ex capo degli ambulanti. Né c’è traccia degli atti compiuti dalla polizia nei tre giorni d’indagine ufficiale. Per gli inquirenti italiani, ovviamente, sarebbe utile sapere chi ha lavorato su Regeni in quel periodo, in che modo, e controllare se qualcuno di quei nomi compare tra i titolari dei telefoni segnalati nella zona in cui Giulio fu rapito e poi, il 2 febbraio, nel luogo in cui fu scaricato il cadavere. Verifiche che darebbero un senso a questo filone investigativo, offerto dagli egiziani dopo il naufragio del depistaggio sulla «banda criminale» che risultò in possesso del passaporto di Giulio, annientata dalla polizia a fine marzo. Tra gli accertamenti necessari ci sarebbe anche quello su eventuali coincidenze tra coloro che indagarono su Giulio e gli uomini che parteciparono alla messinscena dei presunti colpevoli.
Il riferimento all’ufficio di polizia di Giza è interessante perché all’epoca il capo era Khaled Shalabi, già condannato per torture e indicato in un anonimo come il regista delle sequestro e dell’omicidio Regeni. Fu lui che, subito dopo il ritrovamento del corpo, cominciò a inquinare parlando di incidente stradale e movente a sfondo sessuale. È un’altra sovrapposizione di luoghi, nomi e fatti che un’inchiesta seria dovrebbe analizzare per scoprire che cosa nasconde. Di certo c’è che l’Egitto ha sempre negato di aver svolto indagini su e ha nascosto la denuncia di Abdallah per oltre otto mesi. Da quando l’ex ambasciatore italiano al Cairo cominciò a chiedere notizie, a fine gennaio, di quel connazionale sparito nel nulla. Perché? Un’altra domanda in attesa di risposta.
Ieri, in un comunicato, Paola e Claudio Regeni hanno confermato «la volontà già espressa alla Procura di Roma e al ministro Gentiloni di incontrare a breve i magistrati egiziani che indagano sul sequestro, le torture e l’omicidio del loro figlio Giulio». L’incontro era stato sollecitato dallo stesso procuratore Sadek.