La Stampa, 10 settembre 2016
Cronaca di una lunga notte sospesa nel vuoto sul Monte Bianco
Che cosa guardo lassù, non c’è che buio velato di nebbia. In quel pensiero s’insinua la paura di Laura Bettini, vicentina. È appesa a un cavo che ogni tanto dondola, dentro una «scatola» di metallo, mezza rossa con la scritta invitante «Panoramic». Laura è una delle 115 persone tornate salve dal Monte Bianco, un viaggio fra ghiacci e graniti da sogno che si trasforma in incubo per quel blocco. Quasi diciotto ore sospesi «senza saper nulla» e con l’idea martellante «che qualcosa di irreparabile sia accaduto». Scende poco dopo le 9 di ieri mattina con la funivia del versante italiano, la SkyWay e fila dritto in una delle ambulanze dei volontari valdostani, quelli del piccolo Comune di Valpelline.
«Niente, nessuno ci diceva nulla. E io ho cercato in quella cabina, ma non c’era nulla, neppure le coperte termiche». Gelo (meno 3) e paura. Poi rabbia. «Vicino, nell’altra cabina avevano coperte. Ma nessuno è arrivato accanto a noi, non un gendarme, né un soccorritore francese calati dall’elicottero. E la paura più grande era quel silenzio. Ho telefonato all’albergo, in Italia. Loro hanno telefonato a Chamonix e mi hanno richiamato per spiegarmi che cosa poteva essere accaduto. Ma non potevano dirci qualcosa, che so?, con un megafono, di quelli delle manifestazioni?».
Alle 15,15 di giovedì il mondo glaciale del cuore del Monte Bianco perde il fruscio della funivia, l’allegria dei passeggeri. È un mondo che si ferma. Ma ha due segni inequivocabili, di un’avaria. Lo spiega Luigi Freda, torinese, che era a circa 200 metri dell’Aiguille du Midi, lasciata alle sue spalle. Era in una delle tre cabine (viaggiano a «grappolo») che non era ancora arrivata all’intermedia del Grand Rognon, scoglio di granito rosso dove c’è una piccola stazione. Poi il lungo balzo verso Punta Helbronner, a quasi 3.500 metri, da cui la funivia scende su Courmayeur. «La cabina ha frenato in modo brusco, poi quel rumore strano, di metallo che miagola, s’attorciglia», racconta Freda.
Il guaio succede un po’ più avanti. Il «grappolo» di tre cabine che esce dalla stazione del Grand Rognon in accelerazione (il sistema ha velocità variabile per consentire arrivi e partenze misurate dalle stazioni) si blocca di colpo (interruzione di corrente?) e uno degli «ovetti» scarrucola, la fune traente subisce un colpo di frusta, oscilla e finisce attorcigliata alla portante in tre punti. Il motore si ferma per il sistema di sicurezza, ma i manovratori lo attivano di nuovo per tendere la traente e farla tornare parallela alla portante. Operazione che riesce in parte, resta ancora un «nodo». Ancora motore e a quel punto una parte idraulica salta. Scatta l’allarme, l’operazione recupero dal cielo comincia. Non può che essere lenta, buio e nebbia la interrompono. Ieri mattina il pezzo rotto viene sostituito, il motore riavviato, la traente torna al suo posto e le cabine proseguono il viaggio lento verso la stazione di Punta Helbronner. Di lì Luigi Freda viene trasportato in elicottero all’ospedale di Aosta. «Non ne potevo più – dice –. Non riuscivo a urinare, un male quasi insopportabile. Accanto a noi c’era un genovese, Andrea, anche lui provato dal freddo e dal male. Tremava, si contorceva». Ancora: «E chi li ha visti i gendarmi? E le coperte? Sotto il sedile abbiamo trovato due bottiglie d’acqua da mezzo litro l’una e nient’altro. L’interfono non funzionava. Abbiamo telefonato a Torino per avere il numero del soccorso a Chamonix e ci hanno detto “passerete la notte lì”. Dopo un po’ ci ha chiamato la protezione civile da Aosta per chiederci come stavamo». Ieri i francesi hanno provato e l’interfono funzionava. Eppure anche la testimonianza di due catalani («Nessuno ci ha aiutato in 17 ore») e di Laura Bettini non lascia spazio al dubbio: «Zero. Altrimenti avremmo sentito, ci avrebbero, appunto, informato di quanto accadeva». Chi ha avuto accanto un gendarme nella notte è la famiglia valdostana di Daniele Perrone, 12 anni. Era con mamma Katia e papà Franco. A Courmayeur Daniele e la sorella si sono abbracciati piangendo. Il papà: «Freddo e paura. Non ho avuto una grande idea...».