La Stampa, 10 settembre 2016
La sfida atomica di Kim Jon-sun si fa seria
Il quinto test nucleare della Corea del Nord, il più potente di sempre condotto ieri, rappresenta un punto di svolta per almeno due ragioni: primo, dimostra che ormai Pyongyang punta ad avere l’atomica come deterrenza permanente, non più come arma di ricatto e magari strumento di negoziato; secondo, la strategia delle sanzioni progressive non funziona, ma le tensioni geopolitiche fra Cina e Stati Uniti stanno chiudendo la porta a qualunque soluzione capace di bloccare l’escalation.
Il test avvenuto ieri nel Nord del Paese aveva la potenza di 10 kilotoni, la più forte di sempre. Secondo Pyongyang è stato condotto con una testata nucleare, e se questo elemento fosse confermato, vorrebbe dire che il regime è arrivato a costruire un’arma che ora aspetta di essere montata sopra un missile, per minacciare non solo Seul o Tokyo, ma persino la costa occidentale degli Stati Uniti. Il test peraltro arriva dopo il lancio di razzi avvenuto durante il G20 di Hangzhou, e proprio mentre il presidente Obama rientrava dalla sua visita in Asia. La condanna è stata immediata, da parte degli Usa e dell’Onu, dove ieri sera si è riunito il Consiglio di Sicurezza, ma la Cina non era intenzionata a firmarla. Finora la valutazione della comunità internazionale era stata che la Corea del Nord non puntava davvero a costruire una bomba atomica utilizzabile contro i suoi avversari, ma piuttosto ad usarla come strumento negoziale per ottenere in cambio concessioni. Secondo le analisi pubblicate ieri dal Council on Foreign Relations e da Stratfor, il nuovo test dimostra che la situazione è cambiata. Pyongyang sembra determinata ad avere l’arma nucleare, come hanno fatto in precedenza l’India e il Pakistan, obbligando il mondo ad accettare il fatto compiuto del suo nuovo status. Di pari passo, infatti, sta sviluppando il programma missilistico necessario a lanciare queste bombe. Se la scelta strategica fatta da Kim è questa, le possibilità di convincerlo ad abbandonare l’atomica si riducono praticamente a zero. Come ha sottolineato l’ex capo del Pentagono Perry, l’attività nucleare ormai è troppo avanzata per bloccarla: l’unica opzione realistica è puntare a fermare il programma missilistico, per impedire al regime di usare le sue armi.
Questa rinnovata aggressività nordcoreana, secondo gli analisti, è frutto dell’assenza di risposte da parte di Pechino. Infatti l’attuale ministro della Difesa americano, Carter, ha detto apertamente che «la responsabilità è della Cina». Finora Washington aveva puntato sulla «pazienza strategica», sperando che le sanzioni progressive imposte attraverso l’Onu convincessero Pyongyang a rinunciare al programma nucleare. Le sanzioni in effetti sono state approvate, e ieri sera il Consiglio di Sicurezza ha discusso se inasprirle, ma non sono state applicate. Pechino, in particolare, ha lasciato che la Corea del Nord le aggirasse, continuando ad esempio a rifornirla di petrolio, per una scelta politica di lungo termine. La Repubblica popolare, infatti, è impegnata in un braccio di ferro con gli Stati Uniti che va oltre la competizione economica, ma tocca la disputa geopolitica sulle isole nel Mar Cinese Meridionale, e in generale il suo ruolo dominante nella regione. In questo quadro, dovendo scegliere fra il pericolo rappresentato dalle armi atomiche di Pyongyang, e quello posto invece dalla perdita della sua funzione come stato cuscinetto, il nuovo presidente Xi preferisce il primo. Quindi a parole la Repubblica popolare condanna i test e approva le sanzioni in sede Onu, ma nella pratica non fa nulla per fermare davvero Kim. Questo lascia poche opzioni agli Usa, a meno di non voler usare l’embargo navale o la forza, per disinnescare un pericolo che tra breve potrebbe minacciare direttamente il territorio americano.