Libero, 9 settembre 2016
Australia, il Paese che non conosce recessione da 25 anni
Venticinque anni senza respiro, senza tregue né flessioni. Nemmeno quando il resto del mondo arrancava travolto dalle bolle immobiliari, dai giochetti delle banche d’affari e dai debiti sovrani, l’Australia ha mai conosciuto il segno meno di fronte ai suoi dati macroeconomici. Mentre noi ci arrabattiamo nelle crisi cicliche, o costanti, da tempi immemori, da quelle parti i giovani manco conoscono il significato della parola «crisi», perché l’ultima volta che sperimentarono qualcosa di simile fu nel lontano 1991, e oltretutto fu cosa breve, tra ottobre e dicembre. Poi fu un’incessante cavalcata fino al record, ormai scontato, che verrà siglato giusto tra un mese quando l’Australia supererà l’Olanda che nel 2008 concluse, travolta anch’essa dalla crisi mondiale, un filotto di 103 trimestri consecutivi di crescita economica.
IL PIL
Questi i numeri. Più di 1200 miliardi di dollari di Pil, il dodicesimo mondiale, per un Paese gigantesco ma di soli 24 milioni di abitanti. L’ultimo trimestre il Pil australiano è cresciuto del 2,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, grazie soprattutto alla domanda interna stimolata dall’aumento della spesa pubblica. L’inflazione è all’1% tendenziale, che è poca cosa, e la Reserve Banck of Australia ha dovuto tagliare i tassi all’1,5%. Ma è sempre meglio del nostro zero tendenziale. Della crisi delle materie prime, di cui è uno dei principali esportatori, l’Australia se n’è fatto un baffo; della flessione della Cina, principale importatore delle commodities australiane, idem come sopra. La crescita continua a essere superiore a quella massima potenziale del 2,75% stimata dal Tesoro, mentre la disoccupazione rimane al 5,7%, così bassa che noi non ce la sogniamo anche quando le cose stanno miracolosamente andando per il verso giusto. Numeri che messi tutti in fila danno un’idea solo parziale del benessere di cui gode mediamente ogni singolo cittadino che dispone di un reddito pari a quasi 69.000 dollari locali, ovvero a circa 52.870 dollari americani e di un «reddito di benessere» del valore di 225mila dollari, il più alto al mondo secondo una classifica stilata da Credit Suisse.
Tutti questi sono già motivi sufficienti perché l’Australia sia uno dei Paesi più invidiati del pianeta e, a quanto pare, il più desiderato dagli italiani. Ma non sono i soli. Certo, oltre agli scontati paesaggi mozzafiato, alle spiagge immense e mari cristallini, alle mete da viaggi di nozze e da spedizioni per avventurosi impiegati in ferie, l’Australia vanta altri primati, co me il fatto di essere a ragione considerata terra d’elezione per donne e giovani. Secondo la società di consulenza internazionale Booz & Company, il Paese guida la classifica mondiale nell’accesso delle donne all’educazione, alla parità di carriera, alle politiche anti-discriminazione e ai servizi di cura dei bambini. Mentre un’altra graduatoria redatta dall’International Youth Foundation e dal Centre for Strategic and International Studies di Washington, la relega al primissimo posto per qualità di vita e benessere giovanile.
NO WAY
L’Australia è anche il Paese che meglio di altri ha affrontato il problema dell’immigrazione e lo ha fatto con durezza, senza scendere a compromessi o a ipocrite soluzioni. «No way», più o meno «scordatevelo!» era il titolo della campagna informativa con cui il governo Abbott nel 2013 dava il via all’operazione «Sovereign Borders» che ha lo scopo di respingere e deportare tutti i migranti che arrivano illegalmente via mare l’isola. Un’operazione, che ha attirato le critiche di mezzo mondo, Onu e Amnesty International in testa, ma che a quanto pare ha funzionato.
In pratica il migrante che tenta di arrivare clandestinamente via mare in Australia ha due possibilità: o la sua imbarcazione viene, se possibile, trainata nuovamente verso i porti di partenza, oppure viene raccolto e trasferito direttamente ai centri di identificazione stabiliti in Papua Nuova Guinea e sull’ormai famigerata isola di Nauru, dove l’eventuale domanda d’asilo viene esaminata. Un iter che ha scoraggiato la gran parte dei migranti, tanto che dal 2013 a oggi si contano solo qualche decina di barche e poche migliaia di disperati che hanno tentato la fortuna.