Libero, 9 settembre 2016
Catalogo dei capetti di Forza Italia che non vogliono Parisi
Chiedo a Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato e punto di riferimento insieme ad Altero Matteoli di quel che resta della vecchia storia di Alleanza Nazionale in Forza Italia perché mostra come tanti altri del suo partito così scarsa simpatia per Stefano Parisi e il suo tentativo. Risponde facendo un salto indietro: «Da dove lo deduci? Non è così». Mi era sembrato dal fatto che proprio nel giorno in cui il manager scovato da Silvio Berlusconi esclude di avere nei suoi piani e metodi elezioni primarie, proprio Gasparri davanti a una platea di giovani ha rilanciato l’ipotesi opposta, difendendo «la qualità della classe dirigente forzista», e aggiungendo senza riferimento diretto a Parisi «se poi qualcun altro si vuole aggiungere ben venga, ma dovrà dimostrare sul campo di avere il consenso». Allora? Gasparri mi spiega «le novità vanno coordinate con ciò che c’è». E aggiunge un colpo basso: «Fu io in solitaria a proporre Stefano Parisi direttore generale della Rai. Ma Berlusconi scelse Mauro Masi...».
Gasparri ha mestiere, e stando lì da tanti anni ce l’hanno per forza anche gli altri colonnelli azzurri. Se fai loro la domanda diretta su Parisi, si capisce che lo butterebbero giù dalla finestra. Ma non te lo dicono direttamente, ci girano intorno con tanti di quei ghirigori che alla fine ti stendono. Eppure non è mistero per chi frequenta il Palazzo della politica che l’intruso catapultato lì dal Cavaliere sta sui marroni a quasi tutta la classe dirigente di Forza Italia. Che chiamiamo così per abitudine, perché in realtà da dirigere ormai c’è assai poco: da quando Silvio Berlusconi non c’è più e non è schierabile in campo, voti e simpatizzanti se ne sono andati alla chetichella. E con gli ultimi risultati la classe dirigente dirige praticamente se stessa. Eppure molti di loro hanno pure l’aspirazione alla successione del leader. Non ce ne è più uno di loro che sia in grado di portare in dote come si diceva un tempo «un pacchetto di voti», e forse solo gli ex An hanno ancora un lumicino di seguito personale. Però nessuno si guarda davvero allo specchio, e gran parte di loro è pronta ad accusare Parisi di non avere quel che tutti hanno ormai perso: voti e consenso.
Nel gruppo solo due sono meno accorti degli altri. Uno è Giovanni Toti, cui manca quel mestiere dell’arzigogolo che fa paravento agli altri. Così in questi mesi è stato fra i più netti avversari aperti dell’ex amministratore delegato di Fastweb. Prima punzecchiando: «Il progetto di Parisi non lo conosco spero aiuti il centrodestra a tornare a vincere. Spero che nelle prossime settimane Parisi ci renda più edotti del suo pensiero». Poi caustico: «Parisi è sul campo della vita pubblica da molto tempo, per questo non credo abbia velleità da rottamatore, visto che era direttore generale di Confindustria quando io ero ancora al liceo. Evidentemente non è un uomo nuovo». L’altro che non si nasconde dietro giri di parole è Renato Brunetta, che per carattere non le manda mai a dire, accusando apertamente Parisi di «aumentare la confusione evitando la realtà quando definisce destra e sinistra concetti astratti». Brunetta è convinto che la madre di tutte le battaglie sia quella del No al referendum, e non gli piace Parisi perché sarebbe stato troppo timido nascondendo perfino la sua intenzione di voto in campana elettorale a Milano. Il capogruppo azzurro alla Camera è invece certo che il No trionferà, e che essendo lui il capo popolo del centro destra, sarà anche il rifondatore che riporterà i voti a Forza Italia. Sul suo Mattinale mercoledì ha sfoderato la scimitarra, inaugurando una rubrica «Quid e Megawatt» che alludeva alla convention di Parisi e a quell’assenza di “quid” con cui il Cavaliere affondò Angelino Alfano. La rubrica però ieri è scomparsa, e chissà che il bianchetto che l’ha cancellata non sia partito da Arcore...
Contro Parisi c’è Daniela Santanchè, che lo deride apertamente. E Paolo Romani, capogruppo al Senato, per cui «Il tempo dell’uomo solo al comando è finito». Ma nella vecchia guardia c’è chi prudentemente si è schierato sulla terza via, dietro il comodo riparo del «noi facciamo quel che pensa sia giusto Silvio Berlusconi». Sono le ex ragazze azzurre, come Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo e altre. Al fianco del manager scelto di Berlusconi il nuovo responsabile organizzativo del partito, Gregorio Fontana (che con Libero è netto: «Parisi l’ha scelto Berlusconi, che c’è da discutere?») e Sestino Giacomoni. E pure Antonio Tajani, che ha invitato oggi Parisi (e Toti) alla sua convention di Fiuggi e che non sembra dare importanza ai maldipancia della vecchia guardia: «Fanno i ragazzini, passerà».