Corriere della Sera, 9 settembre 2016
Teodoro Moneta, il Nobel per la pace che fece la guerra
Non cesserò mai di stupirmi. Avevo sentito che Teodoro Moneta era stato l’unico italiano a guadagnare il premio Nobel per la pace. Ora ho letto che, influenzato dalla lotta per l’indipendenza contro l’Austria, appena quindicenne ha combattuto sulle barricate durante le Cinque giornate di Milano, avendo forse qualche responsabilità per i tre soldati austriaci morti ammazzati! Dopo combatté anche sul Volturno e a Custoza. Se ho capito bene, già insignito del premio Nobel nel 1907 e in cattive condizioni di salute, Moneta fu favorevole all’entrata dell’Italia nella Grande guerra. Senza voler malignare sul peso che può avere avuto la sua adesione alla massoneria, mi chiedo (se vi fosse la possibilità di assegnare il premio alla memoria) quali chance potrebbe avere Hitler...
Antonio Fadda
Caro Fadda,
Ernesto Teodoro Moneta fu un figlio del Risorgimento. Credeva nel diritto dell’Italia alla sua unità e visse coerentemente quasi tutti i momenti cruciali del processo unitario. Nel 1849 partecipò alla cospirazione antiaustriaca. Nel 1859 combatté con Garibaldi in Lombardia e sullo Stelvio. Nel 1860 seguì il generale in Sicilia e sul Volturno. Nel 1866, dopo la proclamazione del Regno, combatté come ufficiale del Regio Esercito a Custoza. Fu la delusione della sconfitta, probabilmente, che lo persuase ad abbandonare il mestiere delle armi e a scegliere quello della penna. Fu un brillante direttore del Secolo, uno dei migliori giornali milanesi dell’epoca, e fondò più tardi una rivista, La vita internazionale, per cui scrisse regolarmente sino alla fine della sua vita.
La fase pacifista della sua esistenza si manifestò verso la fine degli anni Ottanta e fu vissuta con altrettanto entusiasmo, ma non forse con altrettanta coerenza. È indubbiamente vero che, dopo avere fondato con altri l’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale, approvò la guerra dell’Italia contro la Turchia per la conquista della Tripolitania e della Cirenaica. Ma a coloro che lo accusavano d’incoerenza Moneta rispondeva che il suo messaggio pacifista era indirizzato principalmente agli Stati nazionali europei. Era assurdo che Paesi democratici e civili ricorressero alle armi per risolvere i loro dissidi. Non era assurdo invece che combattessero per portare la civiltà a popoli che ancora non avevano raggiunto lo stesso stadio. Sono argomenti colonialisti che ci appaiono oggi desueti, ma che erano largamente condivisi alla fine dell’Ottocento. Negli stessi anni infatti Moneta non smise di fare altre battaglie per la pace e di sostenere, contro le grandi potenze, i cinesi, i boeri, gli armeni e i macedoni. Il premio Nobel per la pace gli fu conferito nel 1907 anche perché un anno prima era stato il maggiore animatore del XV congresso universale della pace che si tenne a Milano.
Un secondo peccato d’incoerenza gli è stato rimproverato per la posizione assunta quando l’Italia entrò in guerra contro l’Austria nel 1915 e, un anno dopo, contro la Germania. Moneta spiegò la sua posizione sostenendo che gli Imperi centrali erano potenze imperialiste contro le quali era lecito e utile combattere. Oggi potremmo rispondergli che il confine tra buoni e cattivi non era così facilmente tracciabile Ma erano pochi allora quelli che avrebbero avuto il diritto di criticarlo. Quanto a Hitler, caro Fadda, il paragone non mi sembra calzante. Il fondatore del Reich nazista cominciò a preparare la guerra sin dal suo primo giorno al potere.