la Repubblica, 9 settembre 2016
Qui non ci si ferma ad aspettare nessuno, nemmeno Frank De Boer
Ahi superba Italia, di impazienza ostello: qui non ci si ferma ad aspettare nessuno, nemmeno Frank De Boer, planato da Saturno meno di cinque settimane fa, e già alle perse con graticole, titolacci, ultimatum e altre piacevolezze, del resto in due partite ha mostrato i disagi di un assoluto esordiente in questa gabbia di matti. Ma è anche la storia di chi ha voluto la bicicletta e ora deve pedalare.
Un mese fa Frank De Boer aveva prospettive di vita più riposanti: un bell’anno sabbatico dopo cinque anni intensi all’Ajax, con quattro scudetti in fila prima di una chiusura amarissima, quinto titolo perso all’ultima giornata con una retrocedenda e giù lacrime, e addii. Poi l’ex difensore dell’Ajax e della nazionale olandese, dopo la sua classica vacanza in campeggio e con davanti a sé una stagione di verdi pascoli e di partite viste in tv giusto per non perdere il vizio, ha deciso di accettare la chiamata dell’Inter e di Thohir per un incarico che in effetti pochi allenatori rifiuterebbero, soprattutto uno che non ha mai lavorato fuori dall’Olanda e si è inorgoglito all’offerta.
Ma rilevare una squadra a ridosso del campionato, tra l’altro una squadra prostrata dal grottesco tiraemolla di Mancini per tre mesi, e farlo in Italia, cioè nel regno delle strategie e dei giochi di ruolo tattici, e arrivarci da neofita, a digiuno di cognizioni e delle malizie che ci vogliono per sopravvivere quaggiù, è assai pericoloso. Così con Chievo e Palermo è arrivato un punto in due partite, e diverse sbavature nelle scelte: la difesa a 3 a Verona e l’esclusione di Perisic; Banega regista arretrato con Medel più avanzato di lui e Candreva in panchina contro il Palermo. Errori di inesperienza da parte di un tecnico che invece ha molte qualità, ma che è arrivato qui con uno staff olandese (il vice Orlando Trustfull e Michel Kreek, ex Padova e Perugia) ma alle spalle non ha consiglieri già esperti del nostro torneo, visto che il club ancora non gli ha messo a disposizione una guida per aiutarlo a nuotare in questo mare.
In effetti siamo in presenza di un altro di quei pasticci totalmente interisti, perché ci è voluto del genio per arrivare a tutto ciò: non capire che Roberto Mancini fosse a fine corsa, come motivazioni e come rapporti con l’ambiente e dopo quel terribile blackout invernale che aveva rovinato la stagione, è stato gravissimo; non rimuoverlo per tempo come in fondo lo stesso Mancini auspicava, trovando in fretta l’accordo per la rescissione poi slittato ad agosto inoltrato, è stato come minimo miope, perché si è persa un’intera estate; ingaggiare al suo posto, e nell’emergenza assoluta, un tecnico che non conosce il calcio italiano e senza dargli un’assistenza adeguata, costituisce un rischio altissimo, come si è già visto. E il tutto è stato guidato da Erick Thohir e Michael Bolingbroke, entrambi in uscita dal club ed entrambi non esattamente due strateghi del calcio europeo, come abbiamo imparato in tre anni, mentre la nuova proprietà cinese si esprime attraverso il figlio del capo, Steven Zhang, un ragazzo di 25 anni, l’unico che parli inglese, infatti in estate aveva già iniziato a confrontarsi con Mancini, tra l’altro con imbarazzi reciproci.
Così si è arrivati fin qui, con De Boer che già domenica a Pescara (attesa per la prima uscita di Joao Mario) va alla caccia della prima vittoria per puntellare la panchina, poi giovedì prossimo esordio in Europa League contro l’Hapoel Be’er Sheva e domenica 18 ecco la Juve a San Siro, prima di andare a Empoli. Se non si vedesse qualche luce, anzi se arrivassero altri rovesci, per Frank l’olandese la situazione sarebbe durissima. Perché siamo impazienti e perché il calcio italiano è così, anche se in fondo non sarebbe mica tutta colpa di Frank: per quello, semmai, rivolgersi a chi ha deciso di guidare l’Inter come se fosse l’aereo più pazzo del mondo, e non un bene assai prezioso, caro a milioni di aficionados, e da oltre un secolo.