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 2016  settembre 09 Venerdì calendario

A Parisi manca ancora qualcosa per fare il leader

Fra una settimana il “liberalismo popolare” di Stefano Parisi comincerà a prender forma a Milano, in una convenzione che dovrà rispondere alle tante domande dell’estate. Parisi si è fatto conoscere al grande pubblico, sebbene non abbastanza. Ha indicato alcune idee senza dubbio liberali, ma insufficienti a definire la visione generale del nuovo centrodestra. L’obiettivo di riunire i “moderati”, cioè gli spezzoni disarticolati del ceto medio, restituendo loro un’identità politica, è legittimo e anzi necessario: la meta però è lontana, forse nemmeno Parisi sa quanto.
Il sostegno di Berlusconi – per la prima volta dietro le quinte – appare solido e senza riserve. Questo è il primo punto di vantaggio per l’uomo nuovo. Gli è necessario per reggere la freddezza quando non l’ostilità dei vari notabili di Forza Italia che non gradiscono, come è ovvio, l’attivismo dell’intruso. Ma non sono costoro che Parisi deve temere. Fino a quando Berlusconi coprirà le spalle del suo delfino, chiamiamolo così, i pugnali resteranno nelle fodere. Del resto, oggi c’è soprattutto da ricostruire sporcandosi le mani: molti oneri e pochi onori. I problemi cominceranno più avanti, quando si tratterà di scegliere i candidati nelle liste e di spartire le eventuali posizioni di potere.
Si capisce che il designato ha bisogno di tempo. Del resto, anche Renzi dice che si voterà nel 2018. Non è un impegno inciso nella pietra, perché la fine della legislatura dipende da varie circostanze. Ma è logico che il nuovo centrodestra sia favorevole alla scadenza naturale. E fino ad allora Parisi non avrà modo di annoiarsi. In primo luogo deve rendere plausibile la promessa di una politica realmente liberale. Fino a oggi si è rimasti nel generico. Meno tasse, spesa pubblica da ridurre tagliando gli sprechi, uno Stato “leggero” e non più oppressivo, un’assemblea costituente per ridiscutere la riforma costituzionale se vincerà il No referendario. Chi non sarebbe d’accordo, specie sul punto delle tasse e della spesa pubblica? Solo che nessuno ci riesce, nemmeno il “rottamatore” Renzi, il quale si preoccupa semmai di non destabilizzare il sistema e di non scontentare larghe fasce di elettorato.
In altre parole, il bivio di Parisi è già lì. Un conto è un programma di buonsenso scritto sulla carta e utile a conquistare un po’ di voti; tutt’altro conto è mettere in campo una lucida idea di governo liberale della società e su tale base sfidare le corporazioni. Lo stesso Renzi si è fermato di fronte a questo muro, pur avendo lavorato per indebolire i cosiddetti “corpi intermedi”. Parisi, al contrario, afferma di voler restituire loro un ruolo, rispettandone la funzione sociale, e nel contempo chiede alla Confindustria – di cui è stato direttore generale – di rinnovarsi dalle radici. È un approccio diverso, ma è solo un tassello di un mosaico tutto da scoprire. Del resto, l’utopia del partito liberale “di massa” fu propria anche del primo Berlusconi e sappiamo come è andata. Al punto che se Parisi oggi ha un problema, è quello di affrancarsi dal vecchio leader. Senza strappi irrealistici e senza giochi di palazzo, ma imponendo un disegno politico moderno e soprattutto credibile. Altrimenti il rischio è di fare una riedizione allargata del Ncd di Alfano.
A questo fine non basta certo che i notabili di Forza Italia lascino libere le prime file il giorno della convenzione milanese, magari per dare spazio a figuranti fotogenici. Anche sotto questo aspetto, Parisi dovrà essere innovativo rispetto allo stile berlusconiano. Consapevole che una serie di buone idee e di ottime intenzioni non sono sufficienti a raccogliere milioni di voti. Soprattutto se l’ambizione è quella di contendere a Renzi il consenso moderato, ponendosi di nuovo come seconda gamba del sistema, contro il lepenismo nostrano e il grillismo anti-casta. Ci vuole qualcosa di più: il carisma, il colpo d’ala. Quello che ebbe la Thatcher quando scardinò l’assetto del partito conservatore o Blair quando fece lo stesso con il “Labour”. E in tutto questo il rapporto con Salvini non è oggi la priorità: Parisi avrà modo di occuparsene quando sarà riuscito a vincere il primo tempo della sua difficile corsa.