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 2016  settembre 08 Giovedì calendario

Gli esorcisti siciliani in un bel documentario a Venezia

È la Mostra dei film che sembrano documentari e dei documentari molto più avvincenti dei film. Alla prima categoria appartiene Voyage of Time: Life’s Journey, l’ultimo Malick subito ribattezzato «SuperQuarck». Alla seconda, questo Liberami di Federica Di Giacomo, che ha seguito gli esorcisti siciliani e i loro fedeli (o pazienti?) nella loro quotidiana battaglia contro il Diavolo.
Certo, al cinema è uno dei temi più sfruttati, dall’Esorcista in giù (fino l’Esorciccio con Ciccio Ingrassia, giusto per restare in Sicilia), però il film della Di Giacomo ha la sconcertante caratteristica che quel che mostra è tutto vero. E qui siamo al primo paradosso di Liberami: non racconta nulla di antico. Pratiche e credenze che si direbbero incompatibili con la modernità si rivelano attualissime.
Che il fenomeno sia in crescita lo ha certificato una fonte ineccepibilmente voltairriana come Le Monde, mentre la Diocesi di Milano ha dovuto raddoppiare i suoi esorcisti, da sei a dodici, e aprire un call center. Sono oberati di lavoro anche gli «attori» della Di Giacomo, fra visite a domicilio, esorcismi singoli e messe propiziatorie durante le quali la casalinga della porta accanto o il geometra del terzo piano danno di matto, cambiano voce e iniziano a grugnire quando arriva il frate con il crocifisso in mano o lo spruzzo dell’acqua benedetta. «Lascia questa anima, lasciala!», declama padre Cataldo, francescano d’assalto contro il Demonio, a sua volta preso d’assalto dai postulanti. I posseduti urlano, gemono, ringhiano, rotolano per terra, oppure all’improvviso si placano: impressionante. Ancora di più, perché non è fiction.
Non si deve pensare a una psicanalisi per semplici o a una psicoterapia ad uso, è il caso di dirlo, dei poveri diavoli. Di Giacomo, che è antropologa di formazione e maneggia categorie culturali con una disinvoltura insolita fra i nostri cineasti, per i quali spesso il congiuntivo è un’utopia, assicura che il fenomeno è trasversale. «Anche i preti che praticano l’esorcismo si chiedono spesso quale sia il confine fra disagio psichico e possessione. Di certo, la diffusione del fenomeno rivela quanto siamo fragili. La razionalità di cui la società ci chiede continuamente di dare prova non riesce a cancellare quanto di irrazionale c’è in noi. E le nostre terapie non esauriscono il malessere».
Anche chi non crede in Dio, men che meno nel Demonio, rimane colpito. I modi spicci, la spontaneità vernacola e i diluvi d’acqua santa di padre Cataldo, lo stakanovista dell’esorcismo, possono anche far sorridere. Ridere, no di certo. Perché dietro ci sono l’indubbio carisma dell’uomo e la sapienza millenaria, anche psicologica, dell’istituzione cui appartiene. Si rimane spiazzati, senza risposte certe: «Questo film sta nel segno delle domande», dice Di Giacomo. Lei ci crede? «In Dio? Non sono atea ma faccio fatica a restare nei confini di una religione definita». E nel Diavolo? «È difficile. Ma sicuramente il male esiste».
Per realizzare Liberami ci sono voluti tre anni e molta pazienza, «ma bisognava uscire dallo stereotipo dell’horror». La Chiesa ha dato una mano, perché il fenomeno si sta allargando e c’è bisogno di farlo conoscere. I credenti-pazienti anche, «perché parlarne è una forma di liberazione». Infatti, ennesimo paradosso, è stato più facile riprenderli mentre erano posseduti che nella loro vita quotidiana. Difficile dire se il film faccia credere; di certo, fa riflettere, quindi un motivo per vederlo c’è già. Ultima curiosità: perché un’antropologa decide di dedicarsi a qualcosa di molto meno serio come il cinema? «Perché è molto più divertente».