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 2016  settembre 08 Giovedì calendario

In giro per la Camera, tutti a fare battute sui grillini al potere

Il guaio degli enfant prodige è che, quando non c’è più il prodige, resta soltanto l’enfant. E sul ragazzo, nel caso Luigi Di Maio, si esercita la scontata rivincita della casta – titolo pigro e indelebile – riunita nel tempio: è un mercoledì di poco lavoro, alla Camera. E a tempo perso si fa volentieri l’analisi: «La cultura del movimento è tecnicamente incompatibile col governo», dice Sergio Pizzolante, una volta in Forza Italia ora in Ncd. «Almeno i nostri li indagavano dopo, non prima», dice riferendosi a Paola Muraro il leghista Christian Invernizzi, under 40 con un passato da assessore a Bergamo. «Se oggi a Roma le cose vanno così per un capo di gabinetto, che succederà se dovessero fare venti ministri e cinquanta sottosegretari?», dice Massimo Palmizio, berlusconiano di quelli antichi, nati in Publitalia. Detta così sembrerebbe una produzione maramaldesca di sentenze, ma il gusto non è questo. C’è un po’ di rivendicazione con lieve accento recriminatorio, per esempio in Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra italiana: «Ma vi ricordate Nichi Vendola? Quando scoppiò lo scandalo dell’Ilva di Taranto, dopo venti minuti era davanti alle telecamere a spiegare la sua posizione, mentre squadristi telematici aizzati dal grillismo gli davano dell’assassino di Stato». E c’è un po’ di assalto postelettorale, per esempio in Alessia Morani, vicecapogruppo del Pd, che insiste sulla «prova di immaturità» e su Roma «ostaggio di un’armata Brancaleone che gioca alla perenne assemblea studentesca».
I più, però, buttano lì un paio di considerazioni in altri tempi ovvie, e per esempio quelle di Pizzolante: «A Rimini, alle ultime amministrative, ho messo in piedi una lista civica che ha preso il 14 per cento e ha ottenuto il sindaco insieme al Pd. Nella mia lista sono stati eletti dei professionisti, avvocati, commercialisti, uomini conosciuti e stimati il cui impatto con la politica è stato disastroso. Non per colpa loro, ma perché la politica è un’arte complicata, in cui non ci si improvvisa. Ma noi ci rendiamo conto che questi ragazzi non sono soltanto alla prima esperienza in politica, ma alla prima occupazione della loro vita?». E questa idea che un po’ di scuola di partito sia sempre meglio, molto meglio, di un’incompetenza in purezza è sottolineata da Invernizzi, che da leghista è cresciuto nel più grande partito dichiaratamente antisistema (prima del Movimento). «Però i nostri esordi furono decisamente meno complicati perché la Lega aveva e ha una struttura, un capo riconosciuto, una gerarchia rigida». Uno non valeva uno. L’ultimo capriccio non sarebbe mai salito alla nobiltà di rivendicazione politica. «Sono sempre stato convinto che il Movimento a Roma si sarebbe fatto molto male. Roma è una città difficilissima per chiunque. Ma avrei scommesso che i primi guai sarebbero arrivati dopo un anno, non prima di cominciare. Come se un pilota di formula uno che vuole vincere il gran premio andasse contro il muro durante il giro di ricognizione: una cosa mai vista», dice Invernizzi. «Non si governa un sistema se sei antisistema. È un ossimoro», aggiunge Palmizio e intende che ovunque, e specialmente in una città come Roma, bisogna fare i conti coi poteri – forti o magari debolucci – perché esistono, e non sono necessariamente criminali: «Invece i cinque stelle li dichiarano demoniaci, però ci si appoggiano, e quando salta fuori se ne vergognano, e mentono». Ecco perché, come diceva all’inizio Pizzolante, il Movimento è tecnicamente incompatibile col governo. Perché, dettaglia ora, «competenza ed esperienza sono condizioni irrinunciabili di un buona amministratore, l’onestà è una semplice precondizione. E, come si dimostra, aveva ragione Bettino Craxi quando spiegava di non aver mai incontrato un moralista onesto».