Libero, 8 settembre 2016
Contro la ciavatta alla tedesca di Santoro
Giuriamo su quanto abbiamo di più caro che questo pezzo minchionesco l’avremmo scritto anche se al posto di Michele Santoro (qui ribattezzato San Toro per evidenti questioni di sandalo francescano) ci fosse stato un parente stretto, un fratello.
Qui non si tratta di attaccare il giornalista, conduttore e pure regista (a Venezia con il documentario Robinù), qui si tratta di fargli un piacere, di dargli un consiglio da amici sperando che lo accetti. Michele, no. Perdonaci se ti diamo del «tu» ma, davvero, la ciavatta alla tedesca no. Quella non passa la «dogana del buongusto» neanche in spiaggia, neanche all’ospizio, neanche a «Samarcanda». Forse potrebbe osare Lapo in uno di quei giorni lì, anzi no, neppure lui. Michele, no.
Non ti diciamo di fare come certi fissati modaioli che mai indosserebbero cotanta calzatura persino nella solitudine del salotto di casa, ma in pubblico no. Sulla passerella di Venezia poi. Col completo in lino sgualcito. E la camicia aperta. E chi sei Michele, Briatore a Ferragosto in Kenya? Michele, no.
Accettiamo tutto, non vediamo l’ora di vedere il tuo nuovo programma in arrivo su Rai2, ma il piede al vento no. Ci hai risparmiato il calzino, è vero, e di questo ti ringraziamo, ma non riusciamo comunque a perdonarti. Sarà che avremmo volentieri parlato del tuo «Robinù», raccolta di testimonianze di ragazzi «al limite» che ci dicono ben fatta e interessante, sarà che il tuo piede al vento ci rimanda all’estate che va a terminare, sarà quello che vuoi ma il sandalo, ti prego, lascialo alle bonazze passate in questi giorni da quelle parti: alla Portman, alla Stone, alla Vikander. Anzi no, neanche a loro.